Non ho particolari titoli per parlare sul tema dei ‘cattolici in politica’, ma ho l’impressione che si tratti di una questione che, al pari di quella dei ‘liberali in politica’, appartenga a un altro tempo, al secolo scorso. Non perché i cattolici non debbano pretendere di far sentire la loro voce nello spazio pubblico, al contrario di quanto esigeva il vecchio laicismo, contribuendo così a determinare le scelte politiche di fondo della comunità in cui vivono, ma perché, più semplicemente, la politica non sembra più essere il luogo delle grandi e più o meno stabili organizzazioni. Quelle che avevano, per intenderci, un programma più o meno organico e coerente da portare avanti e un riferimento più o meno forte ad un universo di valori e ad una ‘visione del mondo’ ben definiti. Fra l’altro, gli stessi cattolici forse mai come oggi non si sentono unità, nemmeno sotto le insegne del pontefice romano, che nella prassi concreta da tanti di loro tutto è considerato fuorché ‘infallibile’. E non si può dire che abbia mancato di intuito politico Matteo Salvini che, brandendo in una manifestazione pubblica poco prima dell’ultimo voto il rosario e il Vangelo a mo’ di clave, ha sicuramente portato dalla sua parte tanti cattolici sinceri ma contrari alla politica di ‘accoglienza’ incondizionata dei migranti che è pure parte non secondaria del messaggio evangelico di questo Papa. D’altronde, a ben vedere, è proprio quello di una religione à la carte il pericolo più grosso che corre oggi la Chiesa cattolica, la cui apertura al mondo moderno non può significare il venir meno di quella tensione, quel rapporto dialettico e ‘tragico’, cioè non conciliabile in ultima istanza, che ha sempre avuto con la vita di qua sotto. E che ne ha fatto un elemento portante della nostra civiltà. Per dimostrare questa (parziale) alterità al mondo, cioè per conservare la loro identità, i cattolici non hanno oggi necessità di un partito, ma di vivere nel mondo fino in fondo la contraddizione di cui sono portatori. Il ‘partito cattolico’, sembra evidente, è stato una necessità della storia, e dei tempi. Così come lo è stato in Italia, forse, il piccolo ‘partito liberale’, che, come Benedetto Croce aveva fatto subito presente alla caduta del fascismo, è un ossimoro, una contraddizioni in termini. Più in generale, può dirsi che le grandi organizzazioni, e la politica pensata in grande, la politica del Novecento, non si addicono a chi ha come fine ultimo della propria azione la persona umana (i cattolici) o l’individuo (i liberali). Paradossalmente, i tempi attuali, che segnano la morte dei grandi partiti e delle ideologie, nella loro confusione (più o meno creativa), sono un’opportunità più che un rischio per cattolici e liberali. Sempre che evitino i primi di trasformarsi in adepti di una ‘agenzia etica’ dispensatrice solo di buoni sentimenti e i secondi in una conformistica consorteria di laudatori di pratiche ‘politicamente corrette’ e a buon mercato.
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Dino Cofrancesco dice
Ocone ha ragione, Aggiungo solo che molti cattolici in politica hanno perso qualsiasi dignità etica e culturale.
Vederli al Gay Pride è umiliante. Battersi per il diritto dei gay a non essere discriminati è battaglia (liberale) sacrosanta:accordarsi a quanti non solo vogliono (com’è giusto) una legge sul riconoscimento delle coppie di fatto ma, altresì, una legge che consenta l’adozione gay, significa rinnegare, per il piatto di lenticchie di una poltrona ministeriale, l’etica giusnaturalistica, che sta a fondamento dell’insegnamento della Chiesa. Qui non si tratta più di essere ‘cattolici adulti'(per riprendere l’espressione di un leader ‘prestigioso’, e non so perchè) ma di non essere più cattolici. Che chiamino cattolica la loro ‘agenzia etica’ dispensatrice solo di buoni sentimenti’—-come scrive Ocone–fa parte di quell’uso consunto e debolissimo dei termini che contrassegna la crisi di una civiltà.