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La storia non è un grande calderone

5 Luglio 2018 di Paolo Pombeni 1 commento

Lo studio della storia è una disciplina che non gode di grande fortuna in questo momento: basti pensare alla restrizione del suo spazio negli ordinamenti universitari dove si tende a relegarla in corsi specialistici. La ragione, detta in genere sottovoce, è che non la si considera una disciplina capace di formare all’analisi del mondo. Non è ovviamente così e per questo ci si rammarica che gli anonimi estensori delle tracce per i temi della maturità abbiano voluto accodarsi a quel modo di guardare alla storiografia.
Quando infatti si invitano i ragazzi a discettare (perdonate il vocabolo vetusto) su fatti storici che sono immaginari, ma che si pensa possano suggerire ‘bei pensieri’ che altro si sta facendo?
Ai maturandi è stato suggerito che De Gasperi nel 1953 fosse un promotore della distensione e poi li si è invitati a proseguire commentando una frase di Aldo Moro a proposito degli accordi di Helsinski del 1975. Ora non occorre una cattedra ad Harvard per sapere che De Gasperi nel 1953 era impegnato a promuovere la ‘Comunità Europea di Difesa’ (CED), operazione che inseriva il possibile riarmo della Germania Ovest nel quadro di una contrapposizione dell’Europa al blocco sovietico. Qualsiasi storico, anche modesto, sa che la morte di Stalin in quell’anno non poteva cambiare le cose in automatico tanto più che al momento non si sapeva ancora chi ne avrebbe veramente preso la successione e con che politica. Infine presentare l’elezione di Eisenhower alla presidenza degli USA come un altro passo verso la distensione significa che non si sa nulla della corsa agli armamenti atomici che certo non era un buon viatico alla distensione (il cosiddetto ‘equilibrio del terrore’ sarebbe arrivato un bel po’ dopo).
Appiccicare a questo quadro già complesso una riflessione su quanto Moro disse a proposito di Helsinski è un altro salto nel buio. Non solo perché quell’evento mise a nudo accanto ad una modesta disponibilità alla convivenza pacifica l’assoluta chiusura dell’URSS a dare spazio nel suo impero alla libera espressione del dissenso come era previsto nel ‘terzo cesto’ che pure sottoscrisse, ma perché dopo sarebbe arrivato un ritorno di tensioni internazionali che fece parlare di ripresa della guerra fredda. Per commentare questo contesto i maturandi avrebbero dovuto avere a disposizione non solo una conoscenza almeno superficiale del periodo (cosa che nessun programma di secondaria riesce ad affrontare) ma anche una buona base di conoscenze di storia delle relazioni internazionali.
Siccome è banale dire che non si vede come dei ragazzi potessero affrontare due scenari così complessi disponendo di informazioni sbagliate e senza alcuna preparazione alle spalle, non resta che concludere che colui che ha ideato quella traccia fa parte della schiera di coloro che pensano che la storia sia un thesaurus da cui estrarre qualche episodietto per dar modo ai maturandi di esercitarsi nella retorica dei buoni sentimenti e delle frasi fatte (a priori).
In termini tecnici si chiama diseducazione, in termini generali è un incentivo ad abituarsi a fare a meno degli strumenti dell’analisi storico-politica. E poi ci si lamenta se aumenta l’astensionismo elettorale (perché, vorremmo ricordarlo, i maturandi già godono del diritto di voto) e se nella comunicazione politica ha tanto spazio l’appello agli animal spirits della gente.

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Commenti

  1. Stefania Fuscagni dice

    6 Luglio 2018 at 12:56

    Grazie per il bellissimo articolo che condivido!!! La domanda è perché solo nelle scuole italiane non si insegna la storia contemporanea con la ragione pseudoscientifica che la storia contemporanea è cronaca!!! Perché non cominci tu ad avviare questa discussione? Sarebbe bellissimo! Da storica antica la mia idea è che il fenomeno ha ragioni storico- culturali!!! Grazie! Stefania Fuscagni

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