La questione delle culture politiche italiane e della loro quasi scomparsa nel corso degli ultimi 25 anni è tema appassionante e concreto, a cui Paradoxa ha dedicato il n. 4 del 2015 (ottobre-dicembre) con contributi di prim’ordine. Essi hanno ripercorso i momenti storicamente di svolta e le principali battaglie ideali in cui hanno preso carne tali culture (socialista, cattolico-democratica, comunista, di destra, azionista, liberale, federalista, gramsciazionista). Con tesi ad effetto ma non infondata G. Pasquino sostiene che nella notte in cui crollò il muro di Berlino, crollarono parimenti le molteplici culture politiche italiane, che già all’epoca mostravano variamente segni di fragilità. Il giudizio è forte, e gli stessi interlocutori hanno perlopiù mantenuto la speranza che talune tra quelle culture politiche non siano definitivamente tramontate.
A ciò si aggiunga che ad un quarto di secolo da quegli eventi non sembra che siano sorte nuove culture politiche di livello paragonabile. Certo, ne sono nate di “nuove”, ma nella stragrande maggioranza dei casi laterali, poco meditate, impulsive, figlie brevi di specifiche contingenze, protestatarie e soprattutto incapaci di delineare un itinerario e un progetto di sufficiente portata: dunque sotto il vestito niente, per cui il sistema dei partiti è fortemente destrutturato e senza bussole ideali e programmatiche. Ci si aggira in un vacuum politico e culturale estremamente mobile e contingente, dove la mina vagante è un populismo tanto crescente quanto di bassa lega, secondo cui tutto è una cloaca e non vi è niente da conservare. Dei nuovi movimenti di protesta come i pentastellati appare oggettivamente difficile cogliere la cultura di riferimento, e anche se ve sia una.
Una proposta ‘strana’ da discutere e valutare. Per aiutare la nascita di nuove culture politiche meno ideologiche di alcune di quelle passate, sono necessari molti fattori di vario ordine. Dobbiamo evitare come la peste il ‘metodo twitter’, che con i suoi messaggi brevissimi scatena emozioni e fa appello a parole d’ordine che impediscono alla gente di pensare: il twitter è il ritratto fedele e infelice della situazione civile e del dibattito politico italiano. Non sarà con un ricorso ancor più forsennato dell’attuale al cinguettio che risorgeranno tali culture. Ci vuol altro, ci vogliono idee, passioni, sentimenti, carne e mente, lucidità. Necessaria è la capacità di ascolto, ma non solo: occorre trovare un possibile terreno d’incontro postideologico. Avanzo una proposta o meglio un suggerimento in punta di piedi, sapendo che può facilmente essere preso di traverso. Un possibile luogo d’incontro è quello dell’insegnamento sociale della Chiesa (ISC) che non è in senso stretto una cultura politica ma una fonte primaria di ispirazione per diverse culture politiche. Formulo tra me e me l’idea che quelle che furono le molteplici culture politiche nostrane potrebbero trovare ispirazioni di fondo proprio nell’ISC, o almeno operare un confronto con esso. Questa è un’opinione che può essere rigettata a priori, ma forse è meglio sottoporla ad esame, tanto più che da tempo è sparito il soggetto politico – la DC – che in qualche modo riteneva di esserne interprete. La ISC non porta alcun simbolo partitico, né è stata pensata solo per i credenti, e a Roma da vario tempo non siedono più papi italiani, dai quali peraltro possono provenire spinte innovatrici per uscire dalla palude nazionale.
Sperimentiamo l’alta difficoltà a ripartire per la mole imponente di situazioni deteriorate che si sono accumulate per decenni e che soffocano la ripresa; situazione cui si congiunge un’intenzionale cesura con la nostra storia recente, ripudiata con veemenza da forze politiche hanno assunto come proprio compito la denigrazione sistematica del passato, ma anche da chi vorrebbe superare il caos attuale senza però fare memoria dei riferimenti precedenti. Esprimendomi come filosofo, ritengo che l’insegnamento sociale della Chiesa costituisca la maggiore filosofia pubblica oggi presente non solo in Italia ma anche nello scenario mondiale. Senza dubbio tale insegnamento non fornisce soluzioni preconfezionate e dettagliate per quanto occorre fare nelle questioni contingenti che si rincorrono nella piazza pubblica, ma offre una visione d’insieme sui principali problemi dell’epoca e un organismo intellettuale particolarmente solido e collaudato in una storia secolare. Permettete una testimonianza personale: nella mia esperienza di ricerca ho approfondito e confrontato tra loro molte filosofie sociali e politiche, abbondanti e divergenti nella modernità, traendone la convinzione che l’ISC è all’avanguardia, rappresentando forse il pensiero pubblico più adeguato all’epoca attuale. Esso è uscito vincitore dalla battaglia delle ideologie del XX secolo: così è successo perché non è un’ideologia ma un insegnamento fondato sulla realtà delle cose. In breve, coloro che si richiamano all’ISC non sono figli di un dio minore e non devono nutrire alcun complesso di inferiorità. Vengono da lontano ed hanno buone speranze di andare lontano.
L’ISC può aspirare a valere su molti problemi come un patrimonio comune da non tenere in un cassetto accademico, e da spendere in Italia, in Europa e altrove, più di quanto si sia fatto sinora. Il fatto è che l’ISC non è una teoria sociologica in più che spazia a destra e a manca, ma è un pensiero intrinsecamente pratico, finalizzato all’azione sociale in tutta la sua ampiezza, come ricordava l’Octogesima Adveniens.
“Finalità immediata della dottrina sociale è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell’uomo” (Centesimus Annus, n. 10). Conosciamo questi principi: la persona, il bene comune, la destinazione universale dei beni, i limiti del mercatismo liberista, la sussidiarietà, la partecipazione, la solidarietà, la custodia del creato e della vita. Tra i nuclei fondamentali del patrimonio dell’ISC svetta il principio-persona che intende l’essere umano come dotato di una dignità trascendente, per cui esso non è la somma delle visioni, profondamente parziali, che ne danno le scienze umane volta a volta prevalenti; l’uomo non è scomponibile e ricomponibile a piacere, come fosse un oggetto o un meccano. La categoria ‘persona’ è e rimane un’idea fondamentale nella controversia sull’humanum in corso ovunque. L’ISC traccia un intreccio in cui sono presenti i problemi principali del mondo postmoderno, assicura un linguaggio umanistico per lo più comprensibile, e una capacità di sintesi di notevole livello.
Indubbiamente le culture politiche darebbero letture o accentuazioni diverse ai temi dell’ISC quando si trattasse di pervenire a specifiche decisioni: in Italia capita spesso che in un discorso del papa (o della Cei) si proceda a selezionare quanto quadra con le proprie persuasioni; nondimeno l’ISC opererebbe come una base comune di idee, di linguaggio e di problemi se non di soluzioni.
Quanto alla DC, questa ha rappresentato nell’epoca in cui le ideologie erano ancora vigorose, un partito postideologico che ha assunto a sua ispirazione l’ISC, e che con il codice di Camaldoli, l’ICAS (Istituto cattolico per le attività sociali) e numerose altre iniziative ha tenuto desto un filone e soprattutto ha cercato di declinarlo nelle contingenze storico-politiche italiane del tempo, e in Europa. Non sfugge infatti che sono stati in particolar modo i partiti DC a costituire per decenni l’architrave della costruzione europea, che non a caso ha incontrato le sue maggiori difficoltà con l’affievolirsi o la scomparsa di tali partiti.
Aggiungo alcune poche domande:
1. Quali culture politiche hanno manifestato resistenza al trionfo del neoliberismo? Si può ripartire da esse?
2. Un punto molto notevole dell’ISC è il necessario equilibrio tra diritti e doveri (non sto a ricordare che i papi all’Onu hanno chiesto più volte di affiancare alla dichiarazione dei diritti una dichiarazione dei doveri). Su questo lato la situazione in Italia e in Occidente è gravemente minacciata da un positivismo giuridico secondo cui i diritti soggettivi provengono dalla volontà collettiva vigente in un certo momento, e solidificata in una decisione dello Stato.
3. E’ possibile individuare in Italia un gruppo sociale o un’alleanza tra gruppi capace di giocare il ruolo di forza motrice verso un nuovo assetto? E questo nelle attuali condizioni di disgregazione postmoderna, in cui la decomposizione del tessuto sociale è molto avanzato e l’individualismo altissimo.
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