Sui rischi della post-verità si è già detto molto. Forse però è bene riflettere anche sui rischi della «post-verità» (tra virgolette), connessi cioè all’idea stessa, nata con le migliori intenzioni, che stia accadendo oggi qualcosa di nuovo nel nostro rapporto, pubblico e privato, con la verità. Ne vedo almeno tre.
1. La critica alla post-verità, all’uso politico dei «fatti alternativi», alla diffusione a scopo di lucro delle bufale in rete, all’indifferenza dilagante per riscontri e controllo delle fonti (critica – a scanso di equivoci – sacrosanta) inevitabilmente tende a rimbalzare sull’idea di verità che la motiva e a modellarla a sua immagine: tende a fare dell’una un calco dell’altra. Senza che ci si rifletta troppo, la battaglia contro la post-verità insinua per contraccolpo l’equazione tra il vero e il fatto, che assurge a unica sorgente legittima di evidenza e oggettività. Il corollario è che chiunque osi mettere in dubbio questa equazione è post-moderno, cioè, in ultima analisi, un detrattore della verità. La «post-verità» rischia insomma di decidere della «verità» e di portare involontariamente altra acqua al mulino della semplificazione e del prêt-à-porter: con buona pace di chiunque continui a vedere nella verità un concetto non proprio facilissimo da definire e si attardi a sollevare qualche domanda, magari di natura filosofica, in proposito.
2. L’apposizione di un «post-» ad un concetto (modernità, democrazia, verità) è un gesto a dir poco impegnativo, che, marcando una discontinuità tra un prima e un poi, chiama in causa il tempo e obbliga ad un confronto, molto faticoso, con la storia: il consenso diffuso sulla brillante nozione di «post-verità» rischia di trasformare quest’ultima in un alibi per evitarlo. È un argomento che sarebbe ridicolo approfondire qui, in due battute. Mi limito a confessare, solo a titolo di esempio, che mi riesce difficile non vedere una post-verità paradossalmente ante litteram nel paternalistico «quid est veritas?» che il colto politico romano oppone alla pretesa ingenua di verità avanzata dall’ebreo di provincia (il quale per altro non considerava la verità un fatto, ma come qualcosa cui rendere testimonianza). E mi riesce difficile non vedere all’opera proprio la ‘nostra’ presunta post-verità quando di fronte alla constatazione tutto sommato sincera del fatto («non trovo colpe in quest’uomo») la folla, anche in assenza di strumenti di persuasione 2.0, si compatta e se ne infischia del fatto medesimo: e Pilato, uomo e politico di mondo, si rimette al giudizio della rete, pardon del popolo.
3. L’idea che il cedimento della verità nei confronti della non-verità sia in qualche modo un elemento tipico della nostra epoca, dunque contingente e storico, rischia di nascondere quello che appare invece un tratto fenomenico essenziale della verità medesima: la fragilità. Ancora una volta, il faticosissimo lavoro per tracciare un discrimine tra verità e doxa (separate da un confine piuttosto labile già prima di Trump) attesta che tale discrimine non è immediatamente dato: che il vero sia autoevidente e si imponga sul non vero (index sui et non veri) è un desiderio, più o meno pio, ma certo non è, e non è mai stato, un fatto. La verità è fragile perché, a differenza di quel che se ne sente dire, è complessa, richiede tempo e reclama responsabilità. Nella geniale ricostruzione di Sciascia (Il consiglio d’Egitto), la celebre disputa settecentesca tra Giuseppe Vella, lo spregiudicato abate siciliano che con deliberata menzogna inventa di sana pianta la traduzione di un codice arabo, e il professor Joseph Hager, un vero arabista che si sforza di confutare l’impostura, diventa l’occasione per mostrare che quest’ultimo soccombe non nonostante, ma proprio perché dice la verità. Del resto è stato detto che la verità fa liberi, non forti: e proprio perché fa e lascia liberi anche di tradirla, di calpestarla e passar oltre, la post-verità la accompagna, da sempre, come un’ombra. Altro che novità.
Dino Cofrancesco dice
Un articolo chiaro e profondo che ci ricorda opportunamente antichi e sempre attuali dibattiti filosofici. In realtà, i fatti non sono per nulla autoevidenti e i veri conflitti sono quelli tra le ‘opinioni’, che sono ‘verità’ quando sono le nostre opinioni e fake news quando sono le opinioni dei nostri avversari ideologici.
Maurizio dice
..qui la verità non è ancora disponibile!