L’aggressione russa all’Ucraina e quella di Hamas ad Israele hanno diffuso smarrimento e preoccupazione. Non sappiamo dove questi ed altri conflitti violenti come quello nel Mar Rosso e la miccia sempre accesa a Taiwan ci porteranno. C’è chi sostiene che questi conflitti sono parte di un unico evento costruito da attori identificabili. In effetti, questi casi, diversi tra loro, accadono dentro la transizione dell’ordine politico mondiale che è in corso da qualche tempo. Dal decorso della transizione dipende il decorso di questi e altri casi ben più di quanto dal loro decorso dipenda la transizione. Cos’è la transizione dell’ordine politico mondiale? È l’ultima fase di un sistema di interazioni tra stati costituito per affrontare problemi collettivi con risposte politiche concordate. Il sistema di ordine prende vita da un conflitto tra coalizioni di stati che hanno contrapposti interessi su quali problemi collettivi affrontare e in che modo affrontarli, e dalla vittoria di una coalizione che reclama l’autorità politica di ricostruire l’ordine. Nella transizione, ultima fase di un sistema di ordine, la gestione concordata dei problemi collettivi termina e si riaccende il conflitto fino all’emergenza del nuovo sistema di ordine.
Nel Libro di Isaia, a chi chiede “a che punto è la notte?” la sentinella risponde “Siamo nella notte e verrà il giorno. Ritornate a chiedermelo”. La sentinella, piuttosto che dare notizie su quella notte, risponde che ogni notte è un caso di un fenomeno conosciuto, il susseguirsi di notte e giorno. Il susseguirsi di ordini mondiali è dimostrato da studi di storici e politologi. La coalizione degli stati vincitori di una guerra “mondiale” reclama l’autorità politica di formare il nuovo ordine mondiale. Il nuovo ordine emerge da conferenze concluse da trattati internazionali che obbligano i comportamenti degli stati verso problemi collettivi definiti dai vincitori della guerra. L’ordine mondiale, che è oggi al tramonto, è nato dalle conferenze di Bretton Woods, San Francisco e Ginevra alle quali hanno partecipato circa cinquanta stati, quasi tutti europei ed americani, dei circa 70 stati sovrani di allora. In quelle conferenze, la coalizione occidentale guidata dagli Stati Uniti ha individuato nell’instabilità finanziaria, nelle aggressioni militari all’integrità territoriale degli stati e nelle guerre commerciali i problemi che avevano causato trenta anni di guerra mondiale ed erano quindi i problemi collettivi prioritari da affrontare per riedificare l’ordine politico mondiale.
I trattati che hanno chiuso quelle conferenze hanno posto obblighi giuridici agli stati e, in continuità con la crescita di importanza delle organizzazioni internazionali, hanno dato ad alcune organizzazioni la funzione di istituzioni di policy-making per rispondere ai problemi collettivi con politiche-quadro che i governi statali devono attuare con politiche e leggi interne. Anche a livello mondiale, come all’interno degli stati, le politiche sono insiemi di regole giuridiche, programmi di azione e risorse organizzative e finanziarie destinati a conseguire un obiettivo ovvero a rispondere a un problema o una serie di problemi fra loro collegati. Dalle conferenze è emerso, quindi, un sistema di ordine basato su tre politiche elaborate e gestite da Fondo Monetario Internazionale, Consiglio di Sicurezza delle NU e Organizzazione Mondiale del Commercio (già GATT). Queste istituzioni producono politiche con il metodo multilaterale ma con regole che nei primi due casi danno diritti decisionali speciali ad alcuni stati; nel terzo caso danno uguali diritti decisionali a tutti gli stati. Quest’ultimo modello è anche il modello decisionale dell’UNFCCC, l’organizzazione della politica mondiale contro il riscaldamento climatico.
I sistemi di ordine mondiale, che emergono dalle scelte di una coalizione di stati e sono inizialmente accolti da altri stati, vanno incontro al cambiamento per la resistenza e l’opposizione degli stati che hanno interessi diversi da quelli degli stati che hanno preteso l’autorità di ricostruire l’ordine. Alcuni stati contrari all’ordine esistente formulano narrative di un nuovo ordine in vista di costituire una coalizione della quale vogliono essere i rappresentanti. Essi devono avere abilità e capacità di guida ma hanno bisogno del consenso degli altri stati. Non basta la potenza militare ed economica. La loro narrativa deve contenere un progetto di ordine convincente per molti.
A che punto è la notte? significa domandare quanto siamo vicini alla riformazione dell’ordine: quanto siamo vicini al negoziato tra gli stati che rappresentano opposte coalizioni. L’esperienza delle istituzioni di policy-making per rispondere ai problemi di scala mondiale con il metodo multilaterale è l’ultimo stadio della path-dependence dei sistemi di ordine mondiale che condizionerà l’emergenza del prossimo ordine mondiale. Coalizioni di stati devono concordare i problemi prioritari, le istituzioni di policy-making (incluse le regole decisionali multilaterali) e le linee generali delle politiche-quadro mondiali del prossimo ordine.
Non siamo vicini a questa condizione. La coalizione occidentale, abbastanza coesa, non è priva di controversie su chi la rappresenta e sul progetto di ordine. Controversie tra i membri sul commercio internazionale ed altro si accompagnano al discredito della narrativa dell’ordine internazionale liberale. Alla coalizione occidentale si contrappone un’ipotesi coalizionale: quella del Resto del mondo o Global majority. Il gruppo dei BRICS, che raccoglie gli stati che pretendono di esercitare la rappresentanza di questa coalizione in formazione, non rappresenta più solo il Terzo Mondo o Global South: oggi include Arabia Saudita ed Emirati. I BRICS sono diversi fra loro ma condividono la narrativa multipolare che non è ancora un progetto concreto di nuovo ordine.
Fino a quando le condizioni del negoziato tra coalizioni non maturano il disordine dura e può portare alla guerra mondiale ma la guerra mondiale non è la conclusione obbligata della transizione. Uno o più governi possono causare una guerra mondiale per ricostruire l’ordine mondiale. In passato le guerre mondiali hanno avuto questo scopo ma, poiché una guerra mondiale nucleare non produce lo stesso risultato, non è nell’agenda di questa transizione.
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