La prima cosa che si impara quando uno studente di economia inizia ad affrontare il tema delle banche è capire la difficoltà e la rischiosità del loro lavoro. Le banche infatti trasformano il valore delle attività finanziarie nel tempo accettando di avere passività immediatamente liquide e immediatamente esigibili (i depositi bancari che ciascuno di noi può in qualunque momento andare a estinguere in filiale o facendo una transazione online dall’app che ha nel suo cellulare) a fronte di attività illiquide (i soldi prestati a chi vuole fare investimenti). Il lavoro prezioso della banca è dunque quello di selezionare gli investimenti migliori superando le due ben note asimmetrie informative (se qualcuno si presenta con il progetto di una pizzeria nel quartiere X devo capire se il progetto ha buone probabilità di successo e se chi mi chiede i soldi ha le qualità per realizzarlo). Se questa è l’attività della banca è evidente che tutta la sua stabilità si regge sulla risorsa della fiducia. In caso di perdita di fiducia si possono verificare infatti corse agli sportelli che mettono la banca in ginocchio. La fiducia nel sistema bancario non si rivolge in genere solo a un singolo istituto ma ha una componente generalizzata. Ovvero la crisi di una banca indebolisce la fiducia in tutto il sistema. Non è un caso pertanto che il settore bancario sia l’unico settore dell’economia dove le imprese (invece di rallegrarsi pensando di avere un vantaggio in caso di fallimento di un concorrente) “pagano” per evitare che fallisca.
Rafforzare i meccanismi di fiducia nel sistema bancario è diventato progressivamente più urgente dopo la rivoluzione della rete che consente di spostare immediatamente da un posto all’altro del pianeta ingenti somme di denaro. Non c’è dunque nemmeno bisogno di recarsi fisicamente a uno sportello per innescare una corsa agli sportelli che crea una crisi del sistema. Per questo il sistema finanziario oggi ha una serie di protezioni importanti. Tra queste, il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è un fondo finanziato dai paesi membri dell’Unione Europea che interverrebbe nel momento in cui le risorse di un altro fondo (quello di Risoluzione) utilizzate per salvare le banche venissero meno. Tecnicamente infatti le crisi bancarie possono essere risolte con iniezioni di liquidità con le quali nuove risorse monetarie intervengono per sostituire quelle esaurite dalla corsa agli sportelli.
Il nostro parlamento resta l’unico tra quelli dei paesi membri a non aver ratificato il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Ciò in parte dipende dall’avversione ideologica di parte delle forze politiche e dell’opinione pubblica, memori di ciò che il MES è stato ai tempi della crisi greca con regole molto più stringenti sulla condizionalità del cambiamento delle politiche verso un maggior rigore di bilancio che si accompagnava allora all’erogazione dei fondi. Per questo il MES resta nella mente di molti associato ai drammatici momenti della crisi di quel paese.
Il MES di oggi però è qualcosa di diverso. Si tratta di un fondo finanziato dai paesi membri per il quale l’Italia ha già versato 14,3 miliardi rappresentando per questo da sola il 17,7 percento del capitale. Una delle regole che dovrebbero sgombrare il campo dalle preoccupazioni è che l’intervento del MES non può essere automatico e scatta solo dietro richiesta dello stato membro. Ogni sua decisione va inoltre presa con almeno l’85% del capitale, implicando perciò un diritto di veto del nostro paese con il suo 17,7 percento.
Tornando al ragionamento sul ruolo delle banche nel moderno sistema economico, e sul loro fondarsi sulla fiducia dei risparmiatori, la ratifica del MES attiverebbe un potenziale prestatore di ultima istanza con l’effetto di ridurre il rischio percepito dai mercati finanziari, migliorando dunque la situazione degli istituti di credito nell’Unione Europea. Non c’è infatti bisogno che scoppi una crisi perché l’effetto positivo si realizzi visto che la percezione di rischio da parte degli operatori incide ad esempio sul costo del finanziamento e sui rating delle attività finanziarie emesse dalla banca stessa.
Come è noto ogni crisi finanziaria distrugge base monetaria e si risolve in un modo o nell’altro con interventi diretti o indiretti della banca centrale che creano nuova liquidità che sostituisce quella distrutta (ad esempio nell’ultima crisi del 2008 attraverso il quantitative easing). Qualcuno potrebbe dunque pensare che di MES non ci sia in fondo bisogno visto che il vero prestatore di ultima istanza c’è ed è la banca centrale. Va notato da questo punto di vista però che in caso d’intervento della BCE i meccanismi di governance sono ancora meno democratici perché a un consiglio a cui partecipano i ministri delle finanze, rappresentanti di governi eletti dai parlamenti, si sostituisce un consiglio di banchieri centrali nazionali. Questa differenza rappresenta da altri punti di vista una garanzia perché l’organo tecnico della BCE, più indipendente dalla politica, è in grado di perseguire con più severità l’obiettivo del controllo dell’inflazione.
Resta l’interpretazione, peraltro avvalorata dalle dichiarazioni del governo, che la mancata approvazione sia funzionale ad aumentare il potere contrattuale del governo nella partita più generale dell’approvazione del nuovo patto di stabilità. Potere contrattuale di cui avremmo bisogno e che sinora non ha prodotto i risultati sperati, visto che la prima bozza in circolazione approvata dai ministri delle finanze è molto influenzata dagli interessi dei paesi ‘frugali’ e impone regole di aggiustamento piuttosto severe verso i parametri obiettivo (i paesi ad alto reddito come il nostro devono ad esempio puntare a un rapporto deficit/PIL dell’1,5 percento, più basso del famoso 3%). Un’altra caratteristica per ora non soddisfacente della proposta è che i tre capisaldi di un buon patto di stabilità (correzione per il ciclo al fine di evitare austerità in recessione, esclusione degli investimenti strategici e supporto della Banca Centrale), fondamentali nell’affrontare con successo il periodo della pandemia, sono tutt’altro che chiari e affrontati in modo esaustivo.
Al di là della giustificazione del potere contrattuale sarebbe auspicabile maggiore trasparenza e chiarezza sulla posizione del nostro paese. Dobbiamo spiegare perché il quadro di regole proposte attuale non funziona, non solo per noi ma in generale per l’UE. E convincere i paesi membri che è necessario costruire una strategia di politiche fiscali e monetarie più espansive, nonché controcicliche, anche per perseguire l’obiettivo di tenuta dei bilanci pubblici che ovviamente è imprescindibile.
Per questo la partita del MES e del patto di stabilità, per poter essere affrontata in modo efficace e utile, ha bisogno di competenza e non di furori ideologici.
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