Quali prospettive ci si aprono per evitare la ‘sesta estinzione di massa’ prefigurata dal primo rapporto sulla biodiversità dell’Onu? Per rispondere dovremmo chiederci innanzitutto in quanti e quali modi l’uomo ha abitato la Terra. Se volessimo delinearli in una rapidissima sintesi potremmo partire da quello che può considerarsi il primo modello, l’espansionismo illimitato, cui corrisponde una cultura del dominio umano sulla natura caratterizzato da: una forte enfasi sul valore di trasformazione fisica del mondo naturale, dal mito dell’abbondanza, ovvero l’idea dell’illimitatezza delle risorse naturali, da una rappresentazione dell’ambiente nei termini del suo ‘valore d’uso’ per gli esseri umani, accompagnata da una programmazione di breve periodo (non si considerano gli interessi delle generazioni future e delle altre specie). Si tratta di un modello ispirato all’etica della frontiera in cui l’uomo si vede come un civilizzatore della natura selvaggia che, trasformata in terra coltivata, potrà diventare un nuovo ‘giardino dell’Eden’.
Faticosa, e non ancora del tutto compiuta, è stata la transizione ad un secondo modello, quello della conservazione delle risorse, caratterizzato dal riconoscimento della necessità di porre dei limiti alla crescita materiale e da un moderato allargamento degli orizzonti temporali e di specie (vengono presi in qualche considerazione gli interessi delle generazioni future e degli animali). A questo modello corrisponde l’etica dei limiti, in cui si assegnano vincoli normativi al comportamento umano in relazione all’ambiente e si prescrive un’amministrazione oculata delle risorse naturali, sempre in funzione della prosperità e del benessere umani. E per quanto riguarda il nostro futuro?
Ciò di cui dovremmo andare in cerca – e a cui il rapporto sulla biodiversità ci invita – è il modello preservazione delle risorse, caratterizzato da un’apertura ai nuovi diritti all’ambiente e dell’ambiente – secondo una prospettiva che intende saldare interessi umani e valori ambientali – e dalla conseguente affermazione di una compatibilità tra etica del rispetto della natura e tradizione umanistica. Questo modello rinvia a un’etica del rispetto che insiste sui valori di cui l’uomo può godere se preserva le risorse naturali, mantenendone i caratteri e l’integrità e consentendo ai non umani di seguire i loro modelli di esistenza. Su quale fondamento – ci si può chiedere – si basa il dovere di preservare questo o quell’aspetto del mondo naturale? Una prima risposta è che dovremmo preservare le risorse naturali sia per il loro interesse sul piano scientifico, sia per la loro importanza come riserva di diversità genetica a fini medici, culturali, agricoli ecc., sia per il loro significato ricreativo, come fonte di piacere estetico e di ispirazione spirituale, sia, infine, per la loro capacità di apportare un’ampia gamma di esperienze essenziali allo sviluppo armonico della personalità umana. In questo modello si aprono, tuttavia, a ben vedere prospettive che vanno oltre la dimensione strettamente antropocentrica. Il significato di arricchimento per lo sviluppo umano di un’interazione con gli enti non umani, sembra preludere infatti a un ulteriore passaggio verso l’ineludibile revisione dei nostri codici morali e comportamentali nei confronti delle altre creature, compagne di viaggio nell’odissea dell’evoluzione.
Francesco D’ Agostino dice
Cosa intende Luisella Battaglia con l’espressione “odissea dell’evoluzione “ con cui chiude il suo articolo? Odissea implica l’idea di un “ritorno”, auspicato, desiderato, pieno di valore…Nel modello darwinismo evoluzione implica invece l’idea di una dinamica biologica priva di finalismo, di ethos e perfino di prevedibilità (scientificamente fondata). L’ “etica del rispetto” è nobilissima, ma o le si dà un fondamento metafisico o si riduce a un emotivismo concettualmente vuoto.