Nelle splendida cornice offerta dalla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, tra gli affreschi che esaltano la sapienza di Re Salomone, si è tenuta martedì scorso una partecipata tavola rotonda sul tema delle lobby e della trasparenza nei regimi democratici, organizzata dalla fondazione Nova Spes. Alla discussione – che ha preso spunto dal recente fascicolo della rivista Paradoxa Maledetto lobbying! La società aperta e le sue lobby, curato da Marco Valbruzzi – hanno preso parte sia politici (i senatori Roberto Cociancich, Mauro Del Barba, Luis Alberto Orellana e l’onorevole Pino Pisicchio, oltre alla vice-Presidente della Camera dei Deputati, Marina Sereni) sia esponenti del mondo delle lobby (Antonio Iannamorelli, direttore operativo di Reti, e Claudia Pomposo, socia di CattaneoZanetto & Co.).
Sono stati numerosi gli spunti, i commenti e i progetti emersi durante la discussione. Tutti i relatori si sono trovati d’accordo nella necessità di assegnare alla parola e alla professione di lobbista un significato specifico, ben definito, universalmente riconosciuto, in grado di distinguerlo nettamente da tutta quella ombrosa platea di più o meno piccoli faccendieri che con il lobbying non hanno nulla da spartire. Questa battaglia semantica richiede anche uno sforzo da parte dei giornalisti italiani che, per dare un contributo concreto alla formazione di un’opinione pubblica ben informata, devono imparare a distinguere l’operato dei lobbisti, per di più quando esso è regolato e riconosciuto dalle istituzioni pubbliche, da quello dei “semplici” intermediari esperti in un traffico spesso oscuro e talvolta illecito di influenze.
La definizione puntuale della professione del lobbista è un tema che merita di essere ulteriormente approfondito, facendo attenzione – come hanno messo in luce diversi relatori – a tracciare il giusto confine, né troppo stringente né troppo lasco, tra le attività specifiche del lobbying e quelle più ampie e spesso indefinite di advocacy. Il pericolo, in entrambi i casi, è di produrre regolamenti inefficaci, perché non disciplinano l’azione di chi fa lobby ‘con altri mezzi’ oppure perché incentivano forme di lobbying informali ed extra-istituzionali. Ciò nonostante, considerata la natura sperimentale del regolamento recentemente adottato alla Camera dei deputati, sarà possibile valutare in corso d’opera l’efficacia dell’attuale regolamentazione ed eventualmente correggerne limiti o difetti.
Un altro terreno di convergenza tra i partecipanti alla tavola rotonda è stato il giudizio sull’attuale regolamentazione disorganica delle lobby nel contesto italiano, lasciata sostanzialmente alla (buona) volontà di qualche ministero, degli esecutivi regionali e di qualche parlamentare particolarmente sensibile al tema. Anche se non sarà facile ricomporre il puzzle normativo attualmente esistente, dal parere degli oratori è emersa chiaramente la necessità, difficilmente procrastinabile, di addivenire ad una disciplina nazionale uniforme e sufficientemente flessibile per poter essere applicata sia alle assemblee governative/rappresentative sia agli apparati delle burocrazia ai suoi diversi livelli.
Nell’attesa di una disciplina nazionale come quella appena prospettata, i relatori hanno convenuto sull’opportunità di trasferire anche al Senato, in via sperimentale, il regolamento recentemente adottato a Montecitorio. Come ha messo in rilievo la stessa vice-Presidente della Camera, Marina Sereni, la disciplina presenta certamente una serie di limiti (scarsi incentivi alla registrazione, deboli sanzioni per chi non ottempera a tutte le richieste, assenza di una agenda degli incontri e dei contenuti per i singoli parlamentari ecc.), ma rappresenta un primo importante passo verso una più completa ed efficace disciplina delle lobby.
Infine, il dibattito si è concentrato anche sull’importanza di consentire a tutti i gruppi di interesse di intervenire nel processo decisionale da una posizione di eguaglianza e di pari condizioni di accesso. È qui che il tema della trasparenza, e cioè di una efficace regolamentazione delle lobby, incontra quello dell’influenza asimmetrica, vale a dire della possibilità che alcuni gruppi godano di un vantaggio competitivo strutturale rispetto agli altri. Anche al fine di evitare queste situazioni di squilibro, tutt’altro che ipotetiche, nella rappresentanza democratica degli interessi, è importante disciplinare, con urgenza e competenza, un settore fondamentale e in crescita come quello del lobbying. Dopo alcuni passi avanti e molti tentennamenti, ora la politica ha il compito di completare il percorso che ha cominciato. Compito nostro, della società civile e dell’opinione pubblica più in generale, sarà di controllare che agli impegni seguano i fatti. E che siano ben fatti.
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