Ora che si è allentata la morsa del Covid 19 sulla vita civile e politica italiana, si è ripreso alla Camera il dibattito sulla riforma elettorale, resasi necessaria in previsione dell’entrata in vigore del taglio dei parlamentari.
La proposta in campo, condivisa dalla maggioranza di governo e firmata dal presidente della Commissione Affari Costituzionali Brescia, si muove nella logica dell’adattamento possibile alla nuova numerosità del Parlamento della rappresentanza, avendo a riferimento la legge elettorale vigente, di cui verrebbe rimossa la quota di eletti nei collegi uninominali. La parte rimanente, infatti, combacerebbe con il numero dei parlamentari da eleggere dopo la riduzione. Vale la pena spendere qualche considerazione.
Ciò che spinge verso l’adozione di uno specifico sistema elettorale – inteso come insieme di regole che nella democrazia rappresentativa sono chiamate a trasformare i voti degli elettori in rappresentanza – è anche la cultura di un popolo, la sua storia, la sua peculiare attitudine alla partecipazione al processo politico. Per cui i sistemi elettorali maggioritari saranno ritenuti più consonanti con culture politiche omogenee, mentre i sistemi proporzionali forniranno una più appropriata risposta in contesti frammentari, caratterizzati da una forte eterogeneità economica, culturale, etnica.
Esiste, inoltre, una chiara interdipendenza tra stabilità dei sistemi elettorali e stabilità del sistema politico, riscontrabile anche con l’analisi empirica nell’orizzonte vasto dei paesi democratici: laddove gli ordinamenti elettorali appaiono più antichi e non sottoposti a modifiche (si pensi ai paesi di Common law, ma anche alla Francia e alla Germania), la tenuta complessiva del sistema appare più salda, a differenza di quanto non accada in realtà dove l’attività manipolativa del legislatore è più intensa (Italia in primis).
Fatto cenno alle due grandi famiglie di sistemi elettorali, e chiarito che, come ricordava il matematico Arrow, non è possibile indicare il sistema elettorale ideale, cerchiamo di comprendere se la proposta di legge in discussione può proporsi come strumento in grado di soddisfare le esigenze fondamentali poste ad una democrazia rappresentativa, e vale a dire quelle di un soddisfacente grado di rappresentanza, di una plausibile stabilità di governo e, aggiungerei, della condivisione più ampia possibile tra le forze parlamentari, considerato il valore centrale nell’ordinamento italiano della legge elettorale. Perché è necessario che la lealtà costituzionale che i soggetti politici protagonisti nelle assemblee parlamentari esprimono, non prescinda da un atteggiamento di reciproca legittimazione che si esprime attraverso la condivisione delle regole del gioco fondamentali.
Va detto subito, allora, che il nostro ordinamento è stato sottoposto ad uno stress molto forte con il ricorso ripetuto a nuove leggi elettorali: cinque in venticinque anni a cui potrebbe aggiungersi una sesta con la proposta di legge di cui ci occupiamo, che peraltro si renderebbe inevitabile per il se il referendum costituzionale di settembre dovesse confermare il mutamento della numerosità della rappresentanza parlamentare. Una legge elettorale ogni 4/5 anni rappresenta di per sé una ragione di instabilità istituzionale: è un caso unico tra le democrazie occidentali, e si configura come l’impropria risposta alle carenze della forma-partito e alle insufficienze generali della politica che cerca riparo nella rimodellazione delle regole elettorali, per due volte smentita dalle sentenze della Corte Costituzionale, nella passata legislatura.
Allora la prima domanda che appare importante porsi intorno alla questione elettorale, è di natura procedurale. Uno dei padri costituenti, Costantino Mortati, sostenne fortemente le ragioni della costituzionalizzazione della legge elettorale, propendendo, peraltro, per l’impianto proporzionalistico. L’inserimento in Costituzione non ci fu ma si adottò nel 1947 un odg Giolitti che indicava il sistema proporzionale come scelta dell’Assemblea. La domanda è, dunque, se non appaia opportuno prevedere una maggioranza speciale anche per gli interventi normativi in materia di legge elettorale: potrebbe rappresentare un contributo alla stabilizzazione di norme eccessivamente manipolate con effetti negativi anche sulla forma di governo.
Nel merito della proposta Brescia, occorrerà dire che l’ipotesi di riforma si fa carico di tentare un minimo di convergenza in un ordinamento elettorale italiano che si presenta con caratteristiche duali: da un lato Comuni, Regioni, rappresentanza italiana al Parlamento Europeo, operano in ambiente propriamente proporzionale, seppur assistito, a livello di enti Locali, dagli elementi di disproporzionalità rappresentati da soglie di ingresso per la rappresentanza nelle assemblee e premi di maggioranza, mentre per l’Europa vige l’importante – e per certi aspetti illogica – soglia di sbarramento al 4%. Sul piano della rappresentanza nazionale, invece, il sistema misto vigente, che si intende superare, continua a contenere il 34% circa di regola maggioritaria. La divaricazione più significativa che marca la dualità, è rappresentata dalla presenza del voto di preferenza in tutti i livelli elettorali tranne che per la Camera e il Senato.
Le modalità attraverso cui il sistema elettorale traduce il consenso delle liste in rappresentanza parlamentare, hanno cessato dal 1993 di includere il voto di preferenza (salvo l’inapplicata legge del 2015, il cosiddetto Italicum che prevedeva, l’espressione di voti di preferenza dopo il capolista bloccato), preferendo ad esso il collegio uninominale o la lista bloccata. Questa scelta di esclusione del voto di preferenza dal livello elettivo delle Assemblee Parlamentari, variamente motivata, ha inciso significativamente sulla formazione della rappresentanza delle assemblee legislative, svellendone le radici territoriali, con un grave pregiudizio anche sul piano dell’autonomia del parlamentare e, per il metodo cooptativo con cui i capi partito hanno composto le liste, del rispetto dell’art. 67 della Costituzione.
Apparirebbe, pertanto, utile una riflessione sulla modalità di scelta dei parlamentari valutando opportunamente il valore del voto di preferenza, al fine di tonificare il circuito rappresentativo, e garantire l’allineamento all’ordinamento elettorale di tutti gli altri livelli. Sarebbe opportuno infine, attraverso legge costituzionale, stabilire maggioranze qualificate per l’approvazione di leggi in materia elettorale, per evitare quello che Lanchester definisce l’ipercinetismo elettorale compulsivo, un’anomalia che va corretta, anche alla luce della storia elettorale del nostro sistema politico che racconta quanto peso abbia nella costruzione di nuovi e creativi sistemi elettorali il principio filosofico dell’eterogenesi dei fini, per cui chi cambia le regole per avvantaggiarsene alla fine perde sempre.
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