Non è facile districarsi tra parole e concetti vari che, da un momento all’altro, vengono catapultati prepotentemente al centro della scena politica. In questo senso, il ruolo svolto dai mass media è di importanza cruciale. È ad essi, soprattutto, che dobbiamo il proliferare di neologismi o concetti utilizzati a sproposito, deprivati di quella linfa che li contraddistingue e che, a lungo andare, rischia di inaridirsi. Il termine populismo, com’è ben noto, è diventata forse la parola più utilizzata per descrivere un fenomeno: molto genericamente, qualunque nemico da abbattere, da squalificare aprioristicamente. In realtà, tale concetto ha una sua costitutiva pregnanza, anche se, come tutti i suoi studiosi sanno, è ostico incasellarlo una volta per tutte. [Leggi di più…]
I guasti dello ‘stato-pastore’
Si ha un gran bel dire che viviamo in un mondo atomizzato e solipsistico, in cui il senso della comunità e la passione per il bene comune sono ormai ridotti al lumicino, e il ‘liberismo selvaggio’ spadroneggia ormai indisturbato in ogni ambito della vita sociale. Ma tutto questo è soltanto il pregiudizio di un pensiero divenuto purtroppo dominante nel nostro Paese. Mercoledì 3 gennaio Sergio Belardinelli ha riproposto su «Il Foglio» alcune riflessioni di Christopher Lasch in merito alla crescita capillare della «cultura del narcisismo», tipica di una società che «ha perso interesse per il futuro». Ora, come si fa a rimettere sui giusti binari il convoglio? A mio avviso, l’infiacchimento, l’autoreferenzialità e il timore per i rischi sono il risultato di un’azione statale che tende a tarpare le ali all’individuo e alla sua libera forza creatrice. [Leggi di più…]
Ancora sul populismo. In risposta a Paradoxaforum
Scelta felice quella del forum di «Paradoxa» di far vertere un dibattito su quel tema che ormai è sulla bocca di tutti, ovvero il populismo. La parola è ormai fin troppo impiegata, se ne abusa letteralmente, tanto da divenire un vero e proprio passe-partout, ancorché il vocabolo sia consustanzialmente tanto scivoloso e «camaleontico», per dirla con Paul Taggart, quanto lo è il suo referente cardine, il popolo.
Giornalisti, in primis, anche se non mancano studiosi di professione troppo disinvolti (e pregiudizialmente orientati su basi moralistiche) nell’adoperare l’etichetta, concorrono ad esacerbare la confusione intorno al termine. «Venditori professionisti di idee di seconda mano», così salacemente definiti da Friedrich August von Hayek, molti intellettuali brandiscono l’attributo ‘populista’ a mo’ di clava nei confronti di chi la pensa diversamente. In sostanza, per riprendere Dino Cofrancesco, ormai «dopo l’SOS Fascisme, dopo l’SOS Racisme, ora è la volta dell’SOS Populisme», e il vocabolo, se inflazionato e, ancor peggio, se impiegato come «un’etichetta infamante e un operatore di amalgama che permette di stigmatizzare, riunendoli abusivamente, un certo numero di fenomeni sociopolitici o di leader giudicati detestabili o temibili da chi li denuncia» (Pierre-André Taguieff), smarrisce la sua pregnanza e utilità. [Leggi di più…]