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Chi fa la politica estera del governo giallo-verde?

15 Ottobre 2018 di Emidio Diodato 1 commento

[*L’articolo è stato scritto dall’Autore e da Federico Niglia, che al tema hanno dedicato il recentissimo volume Berlusconi ‘The Diplomat’]

Il rispetto del contratto di governo è diventato un punto d’onore per le forze della coalizione giallo-verde. Questo è vero soprattutto per il Movimento 5 Stelle, ma anche per la Lega. Il contratto di governo assurge, in un contesto particolarmente dinamico, a cassa di compensazione di interessi divergenti e, molto spesso, contrastanti.

Questa compensazione risulta più difficoltosa nel caso della politica estera, anche perché su questo punto il contratto presenta maggiori elementi di vaghezza. Il punto 10 riservato alla politica estera nel contratto di governo è molto scarno. Una lunga parte (120 parole) è dedicata agli italiani residenti all’estero, ai problemi delle procedure di voto per la circoscrizione estero e degli organi di rappresentanza del consiglio generale degli italiani all’estero. Né nel programma elettorale dei 5 Stelle, né in quello della Lega, e neppure in quello del Centro-destra si ritrova questa priorità della politica estera nazionale. Se ne comprende l’inclusione nel contratto, forse, solo alla luce della fiducia al governo espressa dai senatori del Movimento Associativo Italiani all’Estero. [Per saperne di più…]

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Il fantasma di Pratica di Mare

10 Maggio 2018 di Emidio Diodato 1 commento

Giustamente infastidito dal ritorno dell’anti-berlusconismo ‘strillone’, il giornalista Nicola Porro ha scritto: «Berlusconi ha un asso nella manica, vincente e comprensibile. Consiste in una foto. Quella di Pratica di Mare. Il “delinquente”, il “male assoluto” è ritratto tra il presidente americano, Bush, e quello russo, Putin, mentre si stringono la mano. Fu in quella occasione che l’ex presidente del Consiglio italiano convinse Europa, America e Russia a guardare dalla stessa parte». Era lo spirito di Pratica di Mare: l’Italia è e deve rimanere un membro leale della Nato, ma questo non vuol dire rinunciare a dialogare con la Russia.

In effetti, Pratica di Mare merita un approfondimento. [Per saperne di più…]

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L’enigma della politica estera italiana. Da Quintino Sella a Luigino Di Maio

23 Novembre 2017 di Emidio Diodato Lascia un commento

Nella Storia d’Italia, Benedetto Croce riferisce in forma di aneddoto un dialogo fondamentale per capire la politica estera del paese. Nelle stanze del ministero delle Finanze, lo studioso di antichità romana Theodor Mommsen si rivolge a Quintino Sella. Croce raffigura l’intellettuale tedesco come in preda alla concitazione, quantunque i toni appaiano piuttosto sarcastici e taglienti: «Ma che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti, a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti». La ferma risposta attribuita al politico piemontese è che, a Roma, il proposito cosmopolita del Regno d’Italia sarà «la Scienza». Il botta e risposta tra Mommsen e il ministro Sella ci mette sulle tracce del falso mito che assegna agli italiani una missione speciale, cioè emulare nella sua eminenza mondiale la Roma antica o quella cristiana. Il nome di Sella è storicamente legato a una politica di rigore nella finanza pubblica, con l’obiettivo di avviare un sano processo di crescita economica. La sua attività fu rivolta al perfezionamento dell’unità del Regno. Anzitutto si pose come scopo principale il pareggio del bilancio statale, attuando un inasprimento fiscale che non risparmiò i consumi popolari. Poi fu ideatore di iniziative per l’istruzione tecnica e professionale, contribuì alla costituzione delle casse di risparmio postali, rese possibile il riscatto da parte italiana delle ferrovie dell’Impero Austro-Ungarico e, nello stesso momento, favorì la privatizzazione di quelle dello Stato piemontese. Si oppose all’intervento dell’Italia a fianco della Francia contro la Germania e fu tra i più tenaci sostenitori della presa di Roma. La sua risposta a Mommsen offre una nitida immagine di una élite che intendeva avvicinarsi sempre più all’Europa, pienamente disposta e forse anche capace di metabolizzare il passato avviando un processo di modernizzazione e crescita scientifica e culturale. In questo quadro, la politica estera doveva essere posta al servizio del processo di modernizzazione, come un’ancora gettata all’esterno per favorire il consolidamento istituzionale. D’altro canto, questa stessa élite era consapevole di dover affrontare diffidenze internazionali e propositi cosmopoliti sempre latenti in altri settori della popolazione. [Per saperne di più…]

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Annessioni, secessioni, ma soprattutto divorzi. In un mondo interconnesso

12 Ottobre 2017 di Emidio Diodato 2 commenti

Ci sono state almeno due ondate di sovranità nel corso del Novecento. All’istituzione delle Nazioni Unite parteciparono 51 stati membri. Oggi sono 193. Il calcolo è in parte fuorviante. L’Italia cobelligerante fu ad esempio esclusa. Ma la decolonizzazione ha quasi triplicato il numero degli stati membri. E poi con il crollo del socialismo sovietico, verso la fine del secolo, i produttori di atlanti geografici fecero buoni affari, vendendo gli aggiornamenti. Era in corso una nuova ondata. Certo, non si spiega tutto allo stesso modo. Il ‘divorzio di velluto’ tra Praga e Bratislava è stato consumato nella sala da pranzo di una villa nei pressi di Brno, poi divenuta patrimonio dell’umanità. La vicenda attende di essere chiarita. [Per saperne di più…]

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Il nesso politica estera/politiche migratorie nel ‘migration compact’

12 Gennaio 2017 di Emidio Diodato 1 commento

Ha ragione Fulvio Attinà quando scrive (commento del 17/11/16) che non è sempre chiaro a cosa ci si riferisca con ‘migration compact’ e che certamente non può essere un programma di aiuti (allo sviluppo) dei paesi di origine e di transito affinché si tengano i migranti.

Proprio per questa ragione credo sia utile ripartire dal documento che l’ex-primo ministro italiano inviò il 15 aprile 2016 ai presidenti di Consiglio e Commissione dell’UE. L’obiettivo del documento, noto come ‘migration compact’, era contribuire alla progettazione di una strategia di ‘azione esterna’ in materia di migrazione. Benché scritto in modo generico, essendo un semplice contributo di pensiero (non-paper), il documento si basò sulla convinzione italiana che tutte le iniziative e gli strumenti europei nel campo dell’azione esterna avrebbero dovuto essere diretti (in modo coerente con le iniziative e gli strumenti interni) allo sviluppo di una strategia europea più attiva, puntando in primo luogo sui paesi africani di origine e di transito del fenomeno migratorio.

Da questa convinzione derivano, a mio parere, due punti qualificanti: 1) l’identificazione dei principali paesi con cui cooperare definendo il tipo di collaborazione da sviluppare con ciascuno di essi (l’Italia si proponeva per la Libia); 2) l’emissione di bond europei per finanziare le azioni, attivando il Servizio europeo per l’azione esterna che prevede il coordinamento e la divisione del lavoro tra i paesi membri dell’UE secondo il principio della ‘cooperazione delegata’.

Il meccanismo solidale di distribuzione delle obbligazioni finanziarie a livello europeo, da una parte, e il tipo di ‘cooperazione delegata’ da sviluppare con ciascun paese, dall’altra, restano senza dubbio punti di riferimento tanto ambiziosi quanto lontani dalla realtà odierna. Il nuovo governo guidato da Gentiloni non è nelle condizioni di riaprire il dossier. Quando era ministro degli esteri, Gentiloni prese posizione sul possibile ruolo italiano nel Mediterraneo. In un intervento del 28 maggio 2015 sulla rivista Foreign Affairs, enfaticamente titolato ‘Pivot to the Mediterranean’, l’attuale capo del governo scrisse che si trattava non soltanto della frontiera meridionale dell’Europa, ma anche di un crocevia geopolitico dove si giocava la sicurezza globale. Da quell’intervento ebbe inizio la fase più intensa che portò, il 28 giugno 2016, alla conquista di un seggio per l’Italia come membro non permanente in Consiglio di sicurezza. L’elezione, scaturita da un accordo di compromesso (l’Italia manterrà il seggio solo per il 2017), fu il principale risultato ottenuto da Gentiloni alla Farnesina. Penso che questo abbia avuto un peso sulla sua nomina alla guida del nuovo governo. Tuttavia, al netto delle debolezze interne, oggi il quadro internazionale è mutato e l’Italia, che ha ottenuto quel seggio proprio sulla scorta del suo possibile impegno nel Mediterraneo, non gode più del sicuro sostegno da parte degli Stati Uniti.

Tuttavia, la convinzione espressa nel ‘migration compact’ ha un valore per la politica estera italiana che va al di là della contingenza politica. Un legame tra scelte di politica estera e politiche sull’immigrazione emerge chiaramente già prima che l’Italia divenisse una frontiera europea. Si pensi alla prima legge in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari, la legge Foschi del 1986, che seguì l’esclusione dell’Italia dagli accordi di Schengen nel 1985; all’iter di approvazione della legge Martelli tra dicembre 1989 e febbraio 1990, influenzato dagli effetti del crollo dei regimi comunisti, in particolare dalla crisi albanese; fino alla legge Turco-Napolitano, approvata durante il primo governo Prodi, quando l’Italia, come enfaticamente si disse, fece il suo ‘ingresso in Europa’ (moneta e frontiere comuni). Le sfide di politica estera e le scelte italiane si sono intrecciate a più riprese, con maggiore o minore consapevolezza, al tema dell’immigrazione.

Certo, la materia delle politiche migratorie a livello europeo resta molto complicata. Come ha ricordato Attinà (commento del 23/11/16), occorrerebbe far chiarezza su chi cerca rifugio oppure lavoro, sul significato della ‘migrazione forzata’, per non parlare della relazione tra problemi di migrazione e problemi di sicurezza e antiterrorismo. Il documento italiano dell’aprile 2016 è un contributo appena sufficiente per impostare una disamina delle iniziative e degli strumenti più idonei per la cooperazione con i diversi paesi africani di origine e di transito. Ma resta, a mio parere, un tassello necessario per impostare una riflessione sul nesso tra politica estera e politiche migratorie. Il fatto di essere divenuta, l’Italia, una frontiera dell’UE impone al governo un ruolo attivo in materia di gestione e controllo dei flussi migratori nel quadro di politiche e finanziamenti europei e in collaborazione con i paesi africani.

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IL TEMA IN DISCUSSIONE

Stato e nazione in Italia all’ombra del ’68

21 Gennaio 2019 di Danilo Breschi 5 commenti

La riflessione che Dino Cofrancesco ha di recente proposto alla nostra attenzione sul forum di «ParadoXa» (Il sessantottismo come anticomunismo assoluto) parte dalla constatazione che la malattia di cui ha sofferto l’Italia a cominciare dal ’68, malattia forse mortale, comunque assai grave e prolungata, «è la crisi della comunità politica – la ‘morte della patria’ […] – ovvero l’assoluta … [continua]

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Premesse e volti del lungo Sessantotto italiano

17 Dicembre 2018 di Claudia Mancina 1 commento

Non fu il ‘68 a portare il vento della giovinezza nella società italiana. C'era già negli anni immediatamente precedenti. Io ricordo il senso di promessa, di apertura, di futuro. L'incontro tra Kennedy e Krusciov faceva sperare nella fine della guerra fredda. I Kennedy erano un mito anche per me che ero comunista; dall'Est europeo arrivavano critiche al comunismo sovietico a cui eravamo sensibili. … [continua]

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Il ’68: tra iper-capitalismo e anti-nazionalismo

10 Dicembre 2018 di Andrea Bixio Lascia un commento

La riflessione di Cofrancesco sul ’68 ha il merito di aver colto con lucidità forse la ragione più profonda della crisi attuale del nostro Paese, la perdita del sentimento di appartenenza ad una comunità politica. Il nostro sentimento nazionale è talvolta minato da una sottile malattia. Una sorta di senso servile che gli impedisce di riconoscere il valore di una identità anche nel momento semmai … [continua]

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Il sessantottismo come anticomunitarismo assoluto

29 Novembre 2018 di Dino Cofrancesco 2 commenti

Nel corso delle tavole rotonde dedicate alla presentazione del fascicolo di «Paradoxa», da me curato, Il 68 italiano. Radici storiche e culturali, ho provato una sensazione di disagio ogni volta che un relatore ha commentato il mio saggio Il Sessantotto e la Resistenza. Eccetto Andrea Bixio, quasi tutti hanno ripreso i temi da me trattati in un’ottica ‘societaria’ – riferita alla forma di governo … [continua]

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