«È la manovra del popolo, bellezze, e voi non ci potete fare niente». Al balcone di Palazzo Chigi – che non è a piazza Venezia, ma dista poco… – il novello Humphrey Bogart al secolo Luigi Di Maio, in preda a delirio populista, manda a quel paese l’Europa di Bruxelles e della Bce, tutte le cancellerie continentali ma soprattutto quelle francese e tedesca, gli euro e gli italo burocrati e più in generale le élite di ogni risma – tutti riassunti nell’espressione «poteri forti», tipica degli impotenti – e ci consegna il concentrato della politica economica e di bilancio che il ‘governo del cambiamento’ è in grado di spremere dalla propria cultura e dal proprio sapere. Una manovra alla Zorro, con la quale si pretende, nientemeno, di abolire la povertà facendo un po’ di deficit spending. Come se usare risorse che non si hanno fosse una novità nella politica italiana. [Leggi di più…]
Il fallimento dei quarantenni
Non è l’età. Sono bastate un po’ di parole d’ordine, dal 2.0 al 4.0, passando per ‘rottamazione’, ‘sharing economy’ e qualche altro tormentone mediatico tra un tweet e un hashtag, perché si insinuasse pervasiva l’illusione che tutti i problemi dell’Italia fossero riconducibili solo ad un fatto anagrafico, quella che i sociologi hanno prontamente chiamato ‘questione generazionale’. Invece, avvicinandoci ormai al terzo decennio del terzo millennio, appare chiaro che quella che era stata presentata come la ‘rivoluzione dei quarantenni’ non sta dando i frutti sperati. Anzi. [Leggi di più…]
Serve una nuova Bretton Woods
Molto più che i danni procurati, e ce ne sono, il processo di globalizzazione, iniziato con gli anni Novanta, ha creato benefici diffusi e consistenti. Solo che questi sono stati tutt’altro che uniformi. Solo un approccio ideologico e nostalgico, per non dire egoista, può ignorare l’irriducibile ‘merito’ della globalizzazione di aver dimezzato l’incidenza della fame sulla popolazione globale, scesa dal 40% al 18% sul totale degli abitanti del pianeta. Per esempio, in 20 anni la sola produzione di cereali è triplicata, aumentando l’apporto calorico pro capite del 38%, su un bacino di oltre due miliardi di persone, quasi un mondo intero. Basti pensare che nel Secondo Dopoguerra il 55% del pianeta viveva con meno di un dollaro al giorno, mentre oggi siamo scesi sotto al 20%. E, stando ai calcoli dell’Economist, dal 1995 ad oggi – periodo comprensivo, dunque, della recessione globale – l’apertura dei mercati ha migliorato le condizioni di vita di 900 milioni di persone. Ma questi vantaggi si sono concentrati in modo costante e omogeneo solo in alcune zone del mondo. Non a caso, se in passato l’aspettativa di vita nel subcontinente indiano era di 27 anni, attualmente è di 63, la stessa dell’Europa della prima metà del Ventesimo secolo.
In effetti, specie dopo il crack finanziario del 2008 e la conseguente recessione, in Occidente la globalizzazione – tra fantasie di ‘decrescita felice’, reflussi protezionistico-nazionalistici e apologia del ‘local’ – sembra essere diventata un nemico da abbattere. Se negli anni Ottanta e Novanta gli effetti positivi cavalcati soprattutto dal mondo della finanza si sono riflessi anche sulla maggioranza della popolazione, successivamente la concentrazione della ricchezza ha assunto toni eccessivi, con un contestuale impoverimento – non solo economico – del ceto medio. I dati ci dicono che, da sole, ottocento imprese realizzano la metà del pil mondiale e che Piazza Affari capitalizza meno dell’1% di Amazon, mentre 62 individui detengono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione. Un rapporto sempre più piramidale, visto che se nel 2010 le persone ‘all’apice’ erano 388, nel 2020 saranno solo in 11, con un incremento del patrimonio stimato in 542 miliardi di dollari. [Leggi di più…]