Il 1971 fu l’anno dell’abbandono da parte del dollaro di un rapporto fisso con l’oro; persa quest’àncora per i valori nominali, sui mercati internazionali delle materie prime i prezzi presero un abbrivio via via più crescente, innescato volta per volta da fenomeni la cui aneddotica si è moltiplicata nel tempo e con la guerra del Kippur nel settembre 1973 trovò il suo culmine nella moltiplicazione per cinque del prezzo del petrolio, dopo un ventennio di prezzo stabile a due dollari al barile.
Economia e demografia
Nei primi decenni del XX secolo iniziò una secolare transizione demografica, come se idealmente si dovesse transitare da un equilibrio demografico di alta natalità e alta mortalità a un analogo equilibrio di bassa natalità e bassa mortalità. Un processo che nella realtà non giunge mai a termine e nei numerosi decenni della sua durata l’entità e la composizione della popolazione muta. A cento anni di distanza, i residenti in Italia hanno cominciato a ridursi, all’inizio del 2022 sono circa 59 milioni. I residenti italiani, invece, sono in diminuzione dal 1995, oggi sono 54 milioni circa. Siamo entrati, quindi, nella fase più difficile della transizione demografica, quella in cui a essa si accompagna il declino demografico.
Sulla transizione ecologica
Da diverso tempo i quotidiani sono ricchi di analisi della emergenza climatica, della necessaria azione di riduzione della CO2, della revisione dei programmi già formulati accelerando il raggiungimento degli obiettivi di impatto climatico nullo in Europa per il 2050, con una tappa intermedia al 2030 di riduzione delle emissioni del 55% rispetto al 1990. Le argomentazioni accattivanti si concentrano in particolare sugli investimenti necessari (circa 1000 miliardi di euro nell’ambito del NGEU) e quindi sullo stimolo alla crescita e all’occupazione che tale strategia si auspica comporti nel medio periodo (con una spesa inclusa nel nostro PNRR di circa 70 miliardi). In altre parole, oltre a risolvere il problema ambientale avremmo anche la soluzione ai problemi di ‘stagnazione secolare’ che l’invecchiamento della popolazione comporta. [Per saperne di più…]
Europa economico/politica e test italiano tramite PNRR
In questo periodo i giornali sono pieni di dati e infografica relativi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR); non voglio addentrarmi in questa analisi già sufficientemente frequentata e documentata, vorrei invece richiamare il problema dell’entità che il debito pubblico sta assumendo e le condizioni politiche che possono consentire di affrontarlo senza grossi drammi.
Le azioni di sostegno ai redditi di chi è stato colpito dalla crisi sanitaria nel 2020 e 2021 stanno portando il rapporto debito pubblico/PIL verso il 160%. Visto che, dei 221 miliardi che sono destinati al PNRR, solamente 40/45 saranno trasferimenti netti a fondo perduto che gli altri stati membri, tramite il debito emesso dalla Commissione Europea, metteranno a nostra disposizione, nel corso dei prossimi anni il nostro debito pubblico continuerà ad aggirarsi intorno al 155-160% del PIL. Livelli dai quali scenderà in funzione sia del ritmo di crescita che il PNRR riuscirà a imprimere alla nostra economia, sia dell’inflazione che la Banca Centrale Europea (BCE) sarà disponibile ad accomodare senza rialzare i tassi di interesse. [Per saperne di più…]
Euro successi o Euro compromessi?
Negli ultimi nove anni, in quattro o cinque occasioni, il difficile rapporto tra UE e Ungheria in merito al rispetto dello stato di diritto si era mosso lungo linee di scarsa efficacia sanzionatoria. Inefficacia di fatto, perché si intendeva sanzionare atti specifici i cui effetti si erano già manifestati e, dati i tempi presi per procedere al tentativo di farli rientrare, il rientro non era più possibile.
Questa volta, la sanzione avrebbe potuto avere efficacia consistendo in mancati finanziamenti futuri. Polonia e Ungheria, questa volta alleatesi esplicitamente per coprirsi dal rischio di ricevere sanzioni irrogate all’unanimità dai 26, stavano rischiando di perdere qualche decina di miliardi ciascuno di futuri contributi dal nuovo bilancio europeo e dal Next Generation Eu.
Il blocco Polonia – Ungheria
In molti abbiamo pensato che, se vi fosse stato ancora il Regno Unito, il Consiglio Europeo il 21 luglio scorso non sarebbe riuscito a varare il NGEU. Invece, nonostante la Brexit, qualche difficoltà si sta presentando. A luglio, l’accordo unanime ci fu, ma le condizionalità relative allo stato di diritto per ricevere i finanziamenti, concordate tra Consiglio e Parlamento Europei il 5 e il 10 novembre nell’ambito della legislazione ordinaria a maggioranza qualificata, hanno visto Polonia e Ungheria all’opposizione ritenendole non coerenti con le decisioni del 21 luglio.
Di conseguenza, per ritorsione, stanno minacciando di porre il veto all’approvazione da parte del Consiglio Europeo del Quadro del bilancio 2021-2028, in cui il progetto NGEU è innestato per le garanzie che deve fornire all’emissione di debito europeo nell’ambito di tale progetto e quindi minacciano la possibilità di implementare l’NGEU.
Consiglio europeo 17/21/2020. Un passo avanti qualitativo per l’UE
Nel 1907, dopo una nuova crisi finanziaria che coinvolse il sistema bancario, il Congresso Usa considerò la possibilità di istituire una banca pubblica che regolasse il sistema finanziario e nel 1914 fu fondata la Federal Reserve. Negli anni trenta del novecento, la Grande Depressione fece da catalizzatore per dar vita a sistemi di welfare state nel mondo avanzato. Dopo il mercato unico della metà degli anni ottanta e la moneta unica dieci anni dopo, la doppia recessione europea a cavallo degli anni dieci di questo secolo segnò un momento importante di arricchimento delle istituzioni monetarie europee. In una riunione del Consiglio Europeo nel giugno 2012, fu avviata la Unione Bancaria attribuendo alla Bce il ruolo di Vigilanza Unica per la stabilità finanziaria e, poche settimane dopo, i paesi membri dell’Unione Monetaria non si opposero alla intraprendenza del Presidente Mario Draghi, il quale inventò uno strumento di intervento diretto sul mercato dei titoli di stato per evitarne le possibili crisi (tecnicamente, Outright Monetary Transactions).
Per il fatto stesso di averlo annunciato con credibilità non dovette mai ricorrervi. La politica monetaria, dopo di allora, acquisì tutti i gradi di libertà di mettere in atto misure non convenzionali che sta tuttora perseguendo. [Per saperne di più…]