È abbastanza curiosa questa geremiade sul ‘non si può esportare la democrazia’. Sembra venire da gente che non ha mai letto un libro di storia. I regimi politici, tale è anche la democrazia, sono sempre stati ‘esportati’ lungo i secoli, a cominciare dall’antica Roma che diffuse il suo in larga parte delle sue conquiste. Ovviamente con adattamenti e accorgimenti, non proprio tale e quale, ma comunque imponendolo o se si preferisce insegnandolo ai nuovi sudditi. [Leggi di più…]
Siamo pronti per la riforma?
Siamo un paese quasi ossessionato dal tema delle riforme. Non che non ce ne sia bisogno, anzi sarebbero quanto mai necessarie. Proviamo a farne in continuazione in una inesauribile corsa a riformare la riforma fatta da poco, perché c’è sempre uno che viene dopo che ha in mente qualcosa di meglio. Assomiglia alla famosa storiella in cui i puri trovano sempre qualcuno più puro che li epura in una successione infinita.
È la logica delle rivoluzioni? No, è la logica del giacobinismo. Poco interesse a vedere se si riesce realmente a cambiare qualcosa, perché è più importante cercare a tutti i costi la perfezione, se non arriva, la colpa sarà sempre del diavolo. [Leggi di più…]
Chi è il leader? Impariamo dalla storia
A volte qualche reminiscenza storica può aiutare. Anche in questi tempi in cui torna la domanda (parlare di nostalgia mi sembrerebbe eccessivo) dell’uomo solo al comando.
Nel periodo precedente la prima guerra mondiale, ci fu un certo successo in Germania per la ‘via peculiare’ (Sonderweg) tedesca al costituzionalismo: il Reich non poteva permettersi il parlamentarismo conflittuale fra i partiti, perché era una potenza circondata da competitori potenzialmente nemici, e dunque aveva bisogno dell’unicità del comando, indispensabile per affrontare l’emergenza di una guerra. Solo i paesi che non si trovavano a fronteggiare questi pericoli potevano permettersi il lusso di una democrazia competitiva. [Leggi di più…]
Massimalismo e riformismo. Un’eterna tenzone?
Lo scontro fra massimalismo e riformismo è un tema sempre verde nella sinistra e non solo. Non riguarda solo l’Italia; basta guardare alle primarie americane, per citare solo quasi un’ultima ora. Di questi tempi assume anche un’altra eterna veste: quella dell’integralismo.
In sostanza, quando si afferma un principio, o lo si assume nella sua integralità, nella sua radicalità, o di fatto lo si tradisce. I principi non sarebbero negoziabili. Messa così, si può finire con il riconoscere una certa fondatezza dell’assunto. Proviamo però a presentare la questione sotto un’altra prospettiva.
La democrazia ridotta alla sua messa in scena?
Risale a Walter Bagehot e al suo libro “The English Constitution” (1867) l’analisi che vedeva compresenti nella macchina politica che faceva funzionare quel costituzionalismo, due componenti, che poi diventavano quasi tre: una “dignified part”, cioè la rappresentazione della competizione parlamentare in dialettica con la Corona e altre istituzioni; un “efficient secret”, che era il lavoro del governo (il Cabinet), dove, al riparo dal pubblico, si faceva, diremmo con linguaggio più tardo, “amministrazione”, cioè si gestivano in concreto le necessità della sfera statale. La rappresentazione tendeva a diventare quasi una terza componente, nel momento in cui l’eco e, a volte, lo stesso contenuto dei dibattiti parlamentari diventava accessibile al pubblico grazie alla stampa. E il desiderio di mostrare la propria abilità oratoria, di assurgere a protagonisti spingeva gli uomini politici ad approfittarne.
La battaglia della buona politica
Torna una vecchia storia che circola nella politica italiana dall’Ottocento: ci vorrebbe un partito moderato di centro, ovviamente costruito ad hoc (e sempre ex novo). Piuttosto che di moderatismo, sarebbe meglio parlare di ragionevolezza e di riformismo, perché in sé essere moderati finisce per risultare un po’ equivoco.
La gente si unisce in politica attorno a dei progetti realistici e ragionevoli quando capisce che gli utopismi non servono a niente, così come i massimalismi. Si tratta però di creare come premessa rivolte intellettuali che devono servire per costringere le forze politiche che operano sul campo a sottrarsi al fascino poco discreto di quelli che pensano che non solo il razionale, ma anche l’irrazionale siano reali, senza capire che deve essere il reale a risultare razionale.
L’eterna rincorsa di una ‘terza forza’ non ha mai portato bene. È molto meglio lavorare per riportare sulla terra le due forze che tradizionalmente si disputano il campo politico, cioè i progressisti e i conservatori, per impedire ai primi di diventare rivoluzionari immaginari e ai secondi reazionari senz’anima.
Oggi c’è poca solidarietà fra coloro che potrebbero cooperare per riportare sui piedi una politica che sta camminando sulle mani, perché si tratta di impegni che non pagano in termini di popolarità e di accesso alla grande ribalta mediatica. Eppure i sistemi politici sono in equilibrio e possono sviluppare energie positive quando almeno la maggior parte degli attori che si contendono l’arena pubblica convengono intorno alla ricerca di ragionevolezza da porre alla base delle riforme. Perché una società è, come si diceva una volta della Chiesa, semper reformanda, se vuole rispondere alle sfide dei tempi. C’è però bisogno di stabilire un confronto maturo per cercare le intese necessarie, non una guerriglia continua fra gladiatori degli slogan.
Ora varrebbe la pena di riflettere se non sia meglio che coloro che hanno ruoli di responsabilità e che ancora hanno un senso di servizio verso il bene comune si impegnassero per migliorare e, diciamolo pure, per convertire le organizzazioni politiche e sociali di qualche significato che sono già in campo, piuttosto che per contribuire alla ricerca sterile di creare il partito degli ottimi e dei puri.
Ci vuole tanta umiltà, ancor più pazienza e una buona corazza per lasciarsi scivolare addosso le contumelie che arriveranno da coloro che hanno costruito le loro fortune con le utopie e i massimalismi. Credo però sia una battaglia che vale la pena di essere combattuta.
Gli inutili ‘confronti’ senza regole
Qualcuno potrebbe iniziare ad interrogarsi sul significato che possono avere i cosiddetti ‘confronti politici’. All’osservatore esterno appaiono sempre più come puro spettacolo in cui coloro a cui è concesso di farlo proclamano il loro modo di vedere le cose senza che ci sia per chi vi assiste alcuna possibilità di capire chi parla con cognizione di causa e chi lo fa a vanvera. [Leggi di più…]