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Bergoglio, lo storicismo italico e il gioco delle tre carte

21 Dicembre 2020 di Dino Cofrancesco 2 commenti

Confesso di provare un forte penchant per Papa Bergoglio. È un pontefice che ignora il politicamente corretto, dice quel che pensa senza curarsi della weberiana ‘etica della responsabilità’, prova una sofferenza autentica e sincera dinanzi ai mali del mondo, alla fame che non demorde nelle regioni dei dannati della Terra, ai bambini africani che muoiono per mancanza di cure, alle ingiustizie nella distribuzione dei beni prodotti dall’uomo, al saccheggio del pianeta, al bieco sfruttamento delle risorse naturali dettato dalla logica del profitto.

Quanti muovono guerra al ‘capitalismo selvaggio’, almeno in certi momenti della sua vita, hanno riscosso la sua simpatia, si chiamino Peron o Castro, Chavez o Maduro. Al contrario, non ha mai nascosto il suo disagio nell’incontrare i capi delle potenze occidentali e degli Stati Uniti, in particolare, che elevano alte barriere ai reietti che dal Sud cercano di entrare negli States nella speranza di ottenere le tre t «che ci rendono degni: techo, tierra y trabajo» (tetto, terra e lavoro). La filosofia di Bergoglio segna davvero un’epoca, quella del punto d’approdo dell’etica universalista iscritta nel Vangelo e, per così dire, ‘secolarizzata’ dalle grandi rivoluzioni atlantiche.

Alla sua base c’è un’idea egualitaria – siamo tutti fratelli e figli in Dio – che fa aggio su tutti gli altri valori nobili che pure hanno creato le grandi civiltà e che vengono retrocessi a disvalori, se non hanno portato acqua al mulino dell’eguaglianza. Questa idea in Francesco I diventa quasi la riprova dell’immagine che Nietzsche si faceva del cristianesimo, visto come la morale degli schiavi. «Il veleno della dottrina dei “diritti uguali per tutti” – scriveva nell’Anticristo – è stato diffuso dal cristianesimo nel modo più sistematico […]. Il cristianesimo ha fatto una guerra mortale ad ogni senso di venerazione e di distanza fra uomo e uomo».

Scriveva Tocqueville nella prima Democrazia in America, quasi rispondendo ante litteram a Nietzsche, che «se nel cuore umano si può trovare anche un gusto depravato per l’eguaglianza che porta i deboli a voler degradare i forti al loro livello, e che riduce gli uomini a preferire l’eguaglianza nella schiavitù alla diseguaglianza nella libertà» vi è poi «una passione maschia e legittima per l’eguaglianza che spinge gli individui a voler essere tutti egualmente forti e stimati. Questa passione tende a elevare i piccoli al rango dei grandi».

Nella filosofia di Bergoglio, però, non si fa differenza: se entra in conflitto con l’eguaglianza e con la salvaguardia del creato (di cui il papa giustamente si preoccupa, a differenza dei panglossiani del mercatismo), la libertà diventa valore secondario. Proprio come la proprietà nella missiva inoltrata ai giuristi africani. Per il papa bisogna edificare una «nuova giustizia sociale partendo dal presupposto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ne ha sempre sottolineato la funzione sociale».

Bergoglio parla qui come l’estensore dell’articolo 42 della Costituzione italiana: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. – La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale».

Nessuno scandalo per questo, beninteso, a patto di riconoscere che la Weltanschauung di Francesco I non ha più nulla a che fare col liberalismo il cui padre nobile, John Locke, non solo non include, tra i tre diritti inalienabili di ogni essere umano – della vita, della libertà e della proprietà – l’eguaglianza, ma vede nella proprietà la base della società civile. Come si legge nel Secondo Trattato: «La ragione per cui gli uomini entrano in società è la conservazione della loro proprietà, e il fine per cui essi eleggono e conferiscono autorità al legislatore è che si facciano leggi e si stabiliscano norme, come salvaguardia e difesa della proprietà di tutti i membri della società, a limitare il potere e moderare il dominio di ogni parte o membro della società stessa».

Diritto secondario la proprietà privata? Papa Bergoglio sembra ignorare la funzione che tale diritto svolge nel pensiero politico di Tommaso d’Aquino o nella Filosofia del diritto di Antonio Rosmini (beatificato nel 2007) per il quale la proprietà privata è il fondamento della libertà giuridica e da essa discendono tutti gli altri diritti specifici, individuali e sociali.

Sennonché, a parte la pertinenza di questi richiami storici, il problema è il gioco delle tre carte che definisce la natura dello storicismo italico (da non confondere con quello, alto, di filosofi come Friedrich Meinecke o Benedetto Croce). Uno storicismo portato a ‘contestualizzare’, ad attutire le punte, ad ammorbidire i contrasti sì da trasformare il nero in grigio e poi, per passaggi successivi, in bianco.

Nella fattispecie, agli esegeti del Pontefice, i quali assicurano che la limitazione del diritto di proprietà nell’interesse pubblico sia qualcosa che non deve sconcertare, giacché da sempre i governi e lo Stato hanno posto limiti precisi al suo esercizio, va obiettato che lo stesso discorso vale per tutti i valori che fondano il rispetto e la dignità umana e che non per questo diventano ‘secondari’.

Quando mai i liberali classici hanno visto nella libertà individuale un diritto illimitato? Kant ha scritto che «La massima: salus publica suprema civitatis lex est rimane nella sua immutata validità e autorità: ma la pubblica salute, che è innanzi tutto da tenere in considerazione, è precisamente quella costituzione legale che garantisce a ciascuno la sua libertà mediante la legge; con ciò rimane a lui lecito di cercare la sua felicità per quella via che gli sembra migliore, purché egli non violi quella libertà generale conforme alla legge, e quindi il diritto degli altri sudditi consociati».

In realtà, non si vuol prendere atto – con tutte le ‘precisazioni’, le ‘interpretazioni’, le spiegazioni’ spesso sofistiche che vengono date delle parole del Pontefice – che siamo entrati in una nuova era in cui il patrimonio ideale e culturale dell’Occidente è divenuto fondamentalmente estraneo alla Chiesa. Quest’ultima non è più fuori dal mondo ma è scesa nel mondo per sostenere una parte (gli have not) contro l’altra (gli have).

La progenie spirituale di Locke e di Montesquieu, di Constant, di Tocqueville e di Aron, di Croce e di Einaudi vive in uno stato d’assedio: il suo timore che l’eguaglianza potesse mettere in crisi la libertà (economica, politica, giuridica) degli individui è diventata la speranza del Mondo Nuovo annunciato da Bergoglio: manca solo Pietro l’Eremita a benedire gli iconoclasti che abbattono i simboli di quello vecchio.

Bergoglio

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Commenti

  1. Tommaso Lo Giudice dice

    21 Dicembre 2020 at 18:54

    Dunque, per Cofrancesco, la Chiesa francescana “…è scesa nel mondo per sostenere una parte (gli have not) contro l’altra (gli have)”. Ma non doveva essere questo (“beati gli ultimi etc.”) lo spirito originario del cristianesimo?

    Rispondi
    • Dino Cofrancesco dice

      22 Dicembre 2020 at 15:02

      Non capisco davvero! Non avevo scritto che “La filosofia di Bergoglio segna davvero un’epoca, quella del punto d’approdo dell’etica universalista iscritta nel Vangelo e, per così dire, ‘secolarizzata’ dalle grandi rivoluzioni atlantiche”?

      Rispondi

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