La mia opinione sulle recenti dichiarazioni di Barbara Balzerani è insieme netta e articolata. Trovo inopportuno, offensivo, in ogni senso censurabile l’attacco indiscriminato alle vittime della lotta armata. Se Balzerani ha in mente qualche persona alla quale motivatamente ci si possa riferire come testimonianza vivente di chi si serva del ruolo di vittima come di un mestiere, renda meno fumoso il suo atto di accusa e faccia esempi concreti. Con ciò evitando di accomunare in quell’accusa vittime che tali sono state e restano, senza aver tratto alcun vantaggio da questa condizione. Senza dire che, nella sua genericità allusiva, e vagamente minacciosa, quella denuncia ricalca da vicino messaggi di stile mafioso, molto lontani dalle modalità espressive abitualmente adoperate dai militanti delle Brigate Rosse. Ma il nucleo del ragionamento è un altro. Depurata da insinuazioni inaccettabili, l’affermazione di Balzerani è semplicemente banale, e dunque tale da non meritare particolare considerazione. Da Tucidide in giù, la storia è sempre stata scritta dai vincitori. Di conseguenza, la storia è sempre parziale, come espressione di un punto di vista inevitabilmente unilaterale. Nei libri pubblicati in Germania che ricordano l’attentato di Via Rasella si dice che una pattuglia della Wehrmacht viene assalita da un gruppo di terroristi. Lo stesso episodio compare nei libri di storia italiani come gesto eroico di alcuni partigiani, ai quali segue l’atroce strage delle Fosse Ardeatine. In tempi più recenti, abbiamo qualificato l’attacco alla caserma italiana a Nassirya come un’impresa terroristica. Non è difficile immaginare in che modo lo stesso evento possa essere descritto da chi condivida le convinzioni del commando (un’iniziativa suicida, fra l’altro) in azione in quella circostanza. Ovviamente, nei casi migliori, lo storico si premura di mettere a confronto una pluralità di punti di vista diversi, allo scopo di superare – o almeno mitigare – le conseguenze di un approccio che non può che essere inevitabilmente soggettivo, e che in una certa misura resta tale, qualunque sforzo si faccia in direzione dell’obbiettività. Sottolineare la parzialità delle ricostruzioni proposte della stagione degli anni di piombo (come ha fatto Balzerani) non è dunque una grande scoperta. Ma il punto vero è un altro, solo indirettamente alluso nelle controversie di questi giorni, troppo rapidamente degradate a battibecchi senza spessore. A quarant’anni dal rapimento Moro, manca ancora non solo una ‘verità’ compiuta, capace di illuminare le tante zone d’ombra tuttora persistenti. Manca soprattutto una chiave di lettura complessiva di quella stagione, con conseguenze che raggiungono anche la nostra attualità. Se ne vuole una prova? Da molti anni, in più modi e in sedi differenti, sono venuto argomentando analiticamente un assunto, per il quale non mi risulta vi siano state smentite o controdeduzioni. Per dirla in estrema sintesi: nel loro insieme la strategia e le iniziative di formazioni come BR e Prima Linea non hanno niente a che vedere col fenomeno chiamato terrorismo, così come esso può essere tecnicamente definito. Si tratta di tutt’altro (non necessariamente più ‘nobile’, o meno pericoloso – ma tutt’altro), vale a dire del pieno sviluppo e del compimento della prospettiva marxista-leninista della conquista del potere attraverso la lotta armata. Proprio quando il PCI (e non si tratta affatto di una mera ‘coincidenza’) abbandona irreversibilmente la strada della rivoluzione, per identificarsi senza residui con la via democratico-parlamentare, un gruppo organizzato di individui sceglie la strada ‘ortodossa’ dell’avanguardia armata, in vista dell’abbattimento della democrazia ‘borghese’. Etichettare questo fenomeno, complesso e articolato, col termine terrorismo, vuol dire far prevalere un approccio emotivo, anziché una categoria di analisi politica, mettendo altresì sullo stesso piano fenomeni fra loro perfino incommensurabili, quali la lotta armata marxista-leninista e lo stragismo (quello sì autentico terrorismo) di matrice tuttora sostanzialmente ignota. Anziché rinfocolare risentimenti anacronistici e infine fuorvianti, di tutto ciò si dovrebbe almeno provare a ragionare, facendo davvero i conti con una fase così importante della storia politica italiana.
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gioacchino di palma dice
Leggo nell’articolo “ … non hanno niente a che vedere con il fenomeno chiamato terrorismo, così come esso può essere tecnicamente definito …”. Credo che parlare di “tecnicismi” alle persone che hanno perso i loro cari per mano dei brigatisti rossi, possa suonare quantomeno offensivo.
Tanti anni fa in una intervista, forse alla Faranda, in cui le si chiedeva se provava rimorso per le azioni compiute e per le tante vittime delle brigate rosse, lei rispose (grossomodo) dicendo: “ … tutti abbiamo avuto i nostri morti …”. Questa frase mi colpì molto allora, e leggendo l’articolo di Umberto Curi, riemerge dai ricordi e si pone nuovamente come una seria tematica in ordine alle diverse possibili letture che si possono dare dei fatti storici, a seconda del diverso punto di vista del narratore.
Ma certo non saprei proprio come definire quello che hanno fatto le brigate rosse, se non terrorismo. Non si tratta di “etichettare” proprio nulla, e tanto meno avere un approccio “emotivo” a quei fatti.
Semplicemente, la parola “Terrorismo” è quella che meglio di tutte lo descrive.
Certo, quello del terrorismo e degli anni di piombo è un nervo ancora scoperto della nostra storia recente, e risente di tutta l’emotività dei fatti storici che il tempo non ha ancora decantato, ma se il problema fosse veramente quello della differenza di significato tra: “Terrorismo” e “Lotta Armata marxista-leninista”, non credo si possa negare che la “lotta armata” delle brigate rosse si manifestò in tutta la sua evidenza attraverso atti di “terrorismo” (e questo non è un tecnicismo).
Leggo ancora nel testo: “ …. Anziché rinfocolare risentimenti anacronistici e infine fuorviati, di tutto ciò si dovrebbe almeno provare a ragionare, facendo davvero i conti con una fase così importante della storia politica italiana …”. Ma se a distanza di 40 anni non riusciamo nemmeno a trovare un punto d’incontro sul termine da utilizzare per descrivere quei fatti, veramente crede Curi che si possa pensare che siamo pronti a “fare i conti” con quella fase storica ?
Dino Cofrancesco dice
Nel ‘Grande Dizionario della lingua italiana’ dir. Salvatore Battaglia si legge alla voce ‘Terrorismo’:«Concezione e metodo di lotta politica attuata da gruppi rivoluzionari o sovversivi per tentare di destabilizzare o rovesciare l’assetto politico sociale esistente con atti di violenza organizzata». Sicuramente è perché sto invecchiando ma non riesco a vedere come questa definizione non possa applicarsi alle BR.
Quanto all’attentato di Via Rasella, lasciamo stare. Fu un brutto episodio, secondo solo a Piazza Loreto. Lutz Klinkhammer ha spiegato bene che fu organizzato per ‘risvegliare’ il popolo romano, contando sulla spietata repressione nazista. Sarebbe meglio apprendere le vicende di quegli anni bui dagli storici e non dai bollettini dell’ANPI.
Liborio Mattina dice
L’identificazione dell’azione delle brigate rosse con l’ortodossia marxista leninista mi sembra perlomeno azzardata. Piuttosto mi
sembra presenti molte analogie con il blanquismo, un movimento russo pre-marxista che, simile ad una società segreta, effettuava episodiche azione violente contro l’apparato zarista, per preparare l’insurrezione rivoluzionaria.