A differenza di altri esponenti politici che, ad ogni tornata elettorale, parlano di «scelta di campo» – come ha fatto di recente Paolo Gentiloni, per il quale, da una parte, vi sono «i valori democratici, liberali, della società aperta, del Welfare, del dialogo con i popoli diversi; dall’altra parte, e non è mai stato così chiaro nella storia del nostro paese, ci sono l’odio, i muri, l’antieuropeismo, il sovranismo, la chiusura al dialogo e riaffiorano vecchi fantasmi del passato» – Emanuele Macaluso, difendendo Emma Bonino (sul «Dubbio» del 28 febbraio u.s.) ha scritto: «Ecco cosa vuole la destra. Anche i più moderati di questo campo chiedono “meno Europa”, e non solo in Italia. L’obiettivo “più Europa” è quindi una netta e radicale contrapposizione alla destra». Macaluso non è Ezio Mauro, non è Travaglio: non demonizza la destra anche se, ovviamente ne è lontanissimo, le sue considerazioni non hanno nulla a che vedere con lo stile violento e fazioso della campagna elettorale in atto e con l’evergreen della delegittimazione reciproca. Se la buona pianta del liberalismo avesse attecchito nel nostro paese, non ci sarebbe la tentazione di trasformare gli avversari politici in nemici mortali e le idee e i progetti politici non condivisi non diverrebbero la riprova di una congiura reazionaria, razzista, fascista, totalitaria, comunista, a seconda dei gusti e delle militanze. Con la consapevolezza che le opinioni, i valori, gli interessi politici stanno sullo stesso piano – nel senso che su nessuno di loro cade la benedizione dello Spirito Santo (perché in politica, come nella morale e nel diritto, non c’è verità) –, saremmo forse più aperti alle ragioni degli altri e più disposti ad ascoltare quanti in economia, in bioetica, in politica interna o internazionale, non condividono i nostri punti di vista. Purtroppo non è così e anche persone rispettabilissime come Macaluso finiscono per avallare divisioni di campo che ci riportano al tempo in cui l’Italia era divisa in due.
È proprio vero che chi chiede «meno Europa», anche se moderato, faccia parte necessariamente della Destra eterna? La Lista Bonino, scrive il buon Macaluso, «nella concreta situazione italiana ed europea» si batte «per portare più avanti l’integrazione e il rinnovamento dell’Europa è la base su cui la sinistra, in Italia e in Europa, può riprendere la sua iniziativa, e può riprenderla su tutti i terreni: per la costruzione di uno Stato sociale europeo, per una politica economica e fiscale comune (che, tra le altre cose, impedirebbe il trasferimento delle aziende nei paesi dove ci sono fiscalità e salari più convenienti ai padroni)». In realtà, con queste parole, l’anziano migliorista nisseno ci spiega perché le sinistre italiane, fieramente avverse all’Europa, a un certo momento se ne posero risolutamente al servizio: fu la sfiducia nello stato nazionale come collettore e ridistributore di risorse a far maturare l’idea che il progetto socialista fosse attuabile solo a livello continentale, l’Italia era divenuta troppo debole e troppo povera per realizzarlo. Ma se questo è vero, perché un liberale di scuola hayekiana dovrebbe volere più Europa e guardare con favore alle limitazioni poste de facto alla libertà d’impresa e alle politiche fiscali considerate dai governi più convenienti? Siamo dinanzi alla vecchia contrapposizione tra socialdemocratici e liberali: si può essere per gli uni o per gli altri ma non si può sostenere che i fautori di meno Europa siano assimilabili alla destra sovranista. Senza volerlo, così facendo, Macaluso delegittima anche lui l’avversario politico, in linea, dispiace dirlo, con l’immarcescibile ideologia italiana.
Michele Magno dice
Beh, diciamo che Lega e Fdi appartengono di sicuro alla destra sovranista. Del M5s è difficile dirlo, sull’Europa un giorno dicono sì, l’altro no. Le limitazioni alle libertà d’impresa, sia pure de facto, poste dall’Ue non le vedo (caso Embraco da ultimo). Per fortuna, al contrario, sono stati posti vincoli a politiche fiscali allegre. Un eminente liberale come Cofrancesco sa certamente che i costi dell’assenza di tali vincoli potrebbero esseri assai salati proprio per l’economia di mercato.
Ps. È un dettaglio, sia chiaro, e poi ognuno scrive come gli pare. Lo stile di Cofrancesco è limpido e l’ho sempre apprezzato. Ma anteporre quel “buon” davanti al nome dell’interlocutore è un artificio retorico un po’ stantìo.
Dino Cofrancescodi dice
Caro Michele
comincio dal dettaglio.Ho scritto ‘buon’ Macaluso senza ironia.Lo stimo molto e anni fa lo invitai a tenere una relazione all’Università di Genova.Tenne una magnifica lectio magistralis. I suoi interventi sul “Dubbio” sono tra i motivi per cui leggo volentieri il quotidiano di Sansonetti. Per il resto non sono stato chiaro.La mia tesi è:se più Europa significa (secondo Macaluso) voler realizzare lo stato sociale a livello continentale perché non comprendere le ragioni di quei liberali che proprio perché antiwelfaristi vogliono meno Europa? Non mi pronuncio su chi ha più ragione ma mi limito a far rilevare che il conflitto politico non è mai una lotta tra angeli e demoni (e questo vale anche per i detestati populisti,sovranisti,nazionalisti che vogliono meno Europa non certo con motivazioni hayekiane)
Michele Magno dice
Caro Cofrancesco (non mi pemetto di chiamarla per nome perché, forse non lo sa, ma lei per me è un mito), grazie per la risposta. Ora mi è tutto più chiaro. Probabilmente sono stato io a fraintendere il suo pensiero, anche condizionato da una campagna elettorale che mi ha fatto letteralmente perdere la testa. Un caro saluto, M.M.
Ps. Proprio nei giorni scorsi ho letto per caso un suo scritto del 2013, su Totò e la sublimazione poetica del qualunquismo. L’ho trovato splendido. Una lettura acuta e originale dell’arte del grande comico napoletano che mi ha ricordato le straordinarie pagine di Roland Barthes su Charlot (“Miti d’oggi”).