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Io non sono vecchio. In-vecchio

12 Giugno 2017 di Adriano Fabris 1 commento

Siamo un paese di vecchi: lo dicono tutte le statistiche. Siamo secondi solo al Giappone. Il Giappone si sta attrezzando da tempo con robot assistenti. Noi, pur lamentandoci degli immigrati, importiamo badanti.

La vecchiaia è un problema: sociale, economico, politico. La prevalenza di vecchi sta trasformando radicalmente la nostra società. La immobilizza e costringe i pochi giovani rimasti a cercare opportunità altrove. Tutto ciò ha conseguenze economiche di non poco conto. Visto che si è voluto risparmiare sulle pensioni prolungando l’età che consente di maturarne il diritto, non dobbiamo poi sorprenderci se, alla fine, a risentirne è la dinamica produttiva dell’intero paese. È tuttavia a livello di mentalità condivisa che i vecchi spadroneggiano, imponendo i blocchi, le paure e le fissazioni proprie della loro età. Ed è dunque a tale forma mentis che molte narrazioni politiche fanno riferimento, facendo leva su di essa per ottenere consenso. [Per saperne di più…]

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Per una globalizzazione inclusiva

25 Maggio 2017 di Stefano Zamagni 2 commenti

Si va parlando, ormai da qualche tempo, di crisi della globalizzazione – una crisi che, iniziata ben prima dell’elezione di Donald Trump, sta registrando una preoccupante accelerazione dopo la nuova presidenza americana. È un fatto che, dall’inizio della crisi finanziaria del 2007-08, il commercio mondiale non si è più ripreso. Cosa è successo al libero scambio?, titolava un paio di settimane fa il prestigioso «Wall Street Journal». Si pensi anche al fallimento dei negoziati sul trattato del Ttip (Transatlantic Trade and Investiment Partneship) tra USA e UE, materializzatosi alla vigilia dell’ascesa di Trump. Un aspetto della questione non deve passare sotto silenzio: mentre abbondano riflessioni e analisi intorno ai possibili effetti negativi delle tendenze in atto, non altrettanto si può dire della ricerca delle cause profonde di quanto va accadendo. [Per saperne di più…]

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Isole nell’arcipelago

15 Maggio 2017 di Mauro Gallegati 1 commento

Nei periodi di crisi emerge – quasi istintivamente – la voglia di isolarsi dagli altri, sia per gli individui che per gli Stati. Ci si chiude per non essere contagiati dalle debolezze altrui, per il timore che i diversi ci rubino le nostre, seppur precarie, posizioni di raggiunto benessere e spesso per la paura del nuovo. Si ha bisogno di soluzioni nuove per evitare di riproporre quelle stesse politiche che ci hanno condotto nella crisi sperando che ora ce ne tirino fuori. La storia pullula di casi simili ed anche oggi – con la crisi scoppiata 10 anni fa e non ancora risolta – si ripropone. Ma la storia non è mai uguale e anche stavolta è diversa e semmai più preoccupante. Siamo oggi infatti in presenza di 2 fattori in azione congiunta: la globalizzazione e la quarta rivoluzione industriale. Stavolta è però differente perché c’è tensione tra il protezionismo che rafforza le spinte – protezioniste in economia – verso gli stati nazionali e la necessità del loro superamento dettato dalla necessità di redistribuzione del reddito e dall’ecologia, per via del cambiamento climatico indotto dall’attività dell’uomo (e di cui le migrazioni sono solo una conseguenza e un epifenomeno). [Per saperne di più…]

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Globalizzazione e rivoluzione digitale: un ruolo inatteso per la Cina

11 Maggio 2017 di Ignazio Musu 1 commento

La globalizzazione è periodicamente messa sotto accusa; questo è uno di quei periodi.

Sostenuta dell’autorevolezza del nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, torna oggi di moda una critica fondata sui rischi di un libero scambio incontrollato.

Si ritiene che limitando il libero scambio e in particolare concentrando l’attenzione dei singoli paesi sull’esigenza di equilibrio nei rapporti di scambio bilaterali, si favorisce la ripresa dell’occupazione minacciata dalle eccessive importazioni o della immigrazione di manodopera straniera.

Sembra quasi paradossale che Xi Jinping, presidente di un paese che si dichiara ancora formalmente comunista come la Cina, abbia invece recentemente al Forum di Davos invitato a valorizzare gli aspetti positivi della globalizzazione e la necessità di governarla attraverso una crescente collaborazione multilaterale.

Xi Jinping ha probabilmente capito che la forza fondamentale che spinge oggi e spingerà in futuro la globalizzazione non è il libero scambio, ma la rivoluzione digitale (alcuni parlano di una quarta rivoluzione industriale). [Per saperne di più…]

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«Verità» e «post»: maneggiare con cura

1 Maggio 2017 di Stefano Bancalari 2 commenti

Sui rischi della post-verità si è già detto molto. Forse però è bene riflettere anche sui rischi della «post-verità» (tra virgolette), connessi cioè all’idea stessa, nata con le migliori intenzioni, che stia accadendo oggi qualcosa di nuovo nel nostro rapporto, pubblico e privato, con la verità. Ne vedo almeno tre.

1. La critica alla post-verità, all’uso politico dei «fatti alternativi», alla diffusione a scopo di lucro delle bufale in rete, all’indifferenza dilagante per riscontri e controllo delle fonti (critica – a scanso di equivoci – sacrosanta) inevitabilmente tende a rimbalzare sull’idea di verità che la motiva e a modellarla a sua immagine: tende a fare dell’una un calco dell’altra. Senza che ci si rifletta troppo, la battaglia contro la post-verità insinua per contraccolpo l’equazione tra il vero e il fatto, che assurge a unica sorgente legittima di evidenza e oggettività. Il corollario è che chiunque osi mettere in dubbio questa equazione è post-moderno, cioè, in ultima analisi, un detrattore della verità. La «post-verità» rischia insomma di decidere della «verità» e di portare involontariamente altra acqua al mulino della semplificazione e del prêt-à-porter: con buona pace di chiunque continui a vedere nella verità un concetto non proprio facilissimo da definire e si attardi a sollevare qualche domanda, magari di natura filosofica, in proposito. [Per saperne di più…]

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Non è vero ma ci credo. Se Post-verità è la parola dell’anno.

20 Aprile 2017 di Mario Morcellini 1 commento

[*L’articolo è stato scritto dall’Autore insieme a Marzia Antenore]

Secondo l’Oxford English Dictionary, ‘Post-Truth’ è la parola più importante del 2016, quella che meglio riflette il clima dell’anno trascorso. Il comitato di esperti incaricato della selezione da una shortlist di tutto rispetto, la definisce come condizione «in cui i fatti oggettivi risultano meno influenti del ricorso alle emozioni e alle credenze personali nel formare l’opinione pubblica». La scelta è certo influenzata da due eventi politici epocali, legati al mondo anglosassone. La Brexit e l’elezione di Trump alla Casa Bianca, entrambi attribuiti al ciclo di informazione intenzionalmente mendace, circolata senza controllo durante le campagne elettorali. Ha ragione Antonio Nicita quando, sul «Foglio», scrive che vi è un destino comune che lega l’uomo dell’anno per Time, Donald Trump, con la parola dell’anno, ‘post-verità’, se l’interesse principale del candidato presidenziale è infiammare i cittadini invece che informarli sui fatti. In effetti, il prefisso ‘post’ non definisce tanto parametri temporali – un periodo successivo a un determinato evento – quanto vere e proprie coordinate concettuali: ‘post’ come momento in cui il sostantivo a cui ci si riferisce è diventato poco importante o addirittura irrilevante. [Per saperne di più…]

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Verità e post-verità nella società dello spettacolo

3 Aprile 2017 di Adriano Fabris 2 commenti

In questi mesi si parla tanto, forse fin troppo, di «post-verità». Sarà il fatto che l’Oxford Dictionary ha decretato che quest’espressione è la parola dell’anno; sarà che essa viene collegata a ciò che accadendo nella comunicazione politica di mezzo mondo: in ogni caso questo termine è ormai di moda. E tuttavia, come per molti vocaboli alla moda, non sappiamo bene che cosa esso voglia dire, nonostante gli interventi più o meno dotti che si moltiplicano sull’argomento (e ai quali si aggiunge adesso anche il mio).

Cominciamo con il chiarirci un po’ le idee. Se la post-verità è qualcosa che viene ‘dopo’, che è ‘oltre’, la verità, dobbiamo chiederci anzitutto che cosa significa questa parola, la parola ‘verità’. Lungi dal rifiutarci di rispondere a questa domanda, come fa Gesù davanti a Pilato, possiamo azzardarci a distinguere alcuni modi in cui il termine viene usato e che si ripropongono nella storia del pensiero. C’è la concezione – a cui in questa storia fanno riferimento, sia pure in modi diversi, Aristotele, Tommaso d’Aquino e Tarski, e che è ben radicata anche nel senso comune – di una ‘verità’ intesa come ‘corrispondenza’: corrispondenza fra ciò uno pensa e ciò che in realtà è, o fra ciò che uno dice e ciò che in realtà è. C’è poi l’idea – riportata a nuova vita nel Novecento da Heidegger, con riferimento al mondo greco, ma ben presente anche nella tradizione ebraico-cristiana – della ‘verità’ come ‘rivelazione’, ‘manifestazione’, ‘disvelamento’ di qualcosa: un rivelarsi che, comunque, ha bisogno di una narrazione per essere attuato nel concreto. C’è, ancora, la persuasione che non può esserci ‘verità’ senza coinvolgimento in prima persona. In questo caso la corrispondenza si dà fra ciò che penso e ciò che dico, e più che di ‘verità’ è bene parlare di ‘veridicità’.

Questi sono alcuni dei significati della parola, probabilmente i più influenti. Se le cose stanno così, allora, a quale significato di ‘verità’, o a quali significati, si riferisce l’espressione ‘post-verità’? Al di là di quale accezione, più in dettaglio, veniamo condotti dalla capacità manipolatrice dei mezzi di comunicazione, usati spregiudicatamente? [Per saperne di più…]

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