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I liberalismi sono due. C’è quello individualistico, c’è quello comunitario

6 Febbraio 2023 di Dino Cofrancesco Lascia un commento

Je constate simplement et me contente de fixer le point où nous sommes.

Raymond Aron

Nella rubrichetta «Vistodagenova», che curo dal 2020 sul «Giornale del Piemonte e della Liguria», il 17 gennaio u.s. me la sono presa col brillante e acuto Michele Serra che, nella sua «Amaca», Che cosa Pompei ci racconta («La Repubblica» dell’11 gennaio) aveva scritto: «alle parole ’nazione’ e ‘nazionale’ azionate sempre le sirene: nove volte su dieci non sbaglierete». [Per saperne di più…]

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Noi e/o loro

16 Gennaio 2023 di Laura Paoletti 1 commento

[Editoriale di «Paradoxa» 4/2022, “Giovani e società. Fine della trasmissione?”, a cura di Mario Morcellini]

C’era una volta, molti anni fa, un momento preciso della giornata – per l’esattezza le 23.30 in punto – in cui l’Italia tutta si ritrovava affratellata da un sottile senso di angoscia: era quando, sullo sfondo di un cielo nuvoloso e col sottofondo mesto e solenne delle Armonie del pianeta Saturno di Roberto Lupi, lo schermo televisivo mostrava il lento movimento di un traliccio che preludeva alla comparsa della fatidica scritta: «Fine delle trasmissioni». [Per saperne di più…]

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Progresso economico e tecnologia: luci e ombre

9 Gennaio 2023 di Mauro Gallegati Lascia un commento

Come noto l’economia è stata spesso definita come la «triste scienza», proprio perché descriveva la fatica dell’uomo nell’ottenere le calorie giornaliere appena sufficienti per sopravvivere, tra lo Scilla del lavoro ed il Cariddi della pressione demografica. Il che non ha impedito alla ricchezza di essere distribuita in modo del tutto ineguale, secondo una legge di potenza, formulata per la prima volta nel 1896 da Pareto – per cui il 20% della popolazione possiede l’80% della ricchezza totale, ossia l’1% ne possiede il 40%. [Per saperne di più…]

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Le radici teoriche dell’attuale politica monetaria sostituisce. Dicembre 2022

2 Gennaio 2023 di Paolo Onofri Lascia un commento

Semplificando molto, si può affermare che per uno o due secoli il livello generale dei prezzi era stato considerato/percepito come costante nel tempo. Certamente si erano verificati importanti salti di livello in corrispondenza di fiammate inflazionistiche, ma queste ultime duravano alcuni anni di redistribuzione violenta dei redditi e della ricchezza poi, cambiata la moneta e/o il suo ancoraggio all’oro o all’argento, si iniziava un nuovo lungo periodo di stabilità. Tant’è che per un periodo molto lungo il “prezzo normale del tempo”, ovvero il tasso di interesse normale che remunera la posposizione del consumo, era stato considerato aggirarsi in prossimità del 5 per cento, senza risentire delle fiammate inflazionistiche. Tutto ciò approssimava in modo molto rozzo la percezione del livello dei prezzi e del tasso di interesse nominale, quando il finanziamento della guerra del Vietnam mise in difficoltà il dollaro, che dovette abbandonare il suo ancoraggio all’oro (1971), disancorando dal medesimo anche le altre monete che al dollaro si erano legate con gli accordi di Bretton Woods.

L’anno successivo i prezzi in dollari dei beni agricoli esplosero e l’anno dopo ancora, complice la guerra del Kippur, anche quelli del petrolio si moltiplicarono per quattro o cinque. Questa sequenza di shock provocò il diffondersi di tassi di inflazione via via crescenti nei paesi importatori di materie prime, e tassi di crescita via via decrescenti (stagflazione). Gli economisti abituati, come il sottoscritto, a ragionare con schemi macroeconomici keynesiani interpretavano il rallentamento della crescita come conseguenza della caduta della domanda aggregata in termini reali per l’effetto dell’aumento dei prezzi. Il suggerimento che si traeva era di sostenere la domanda con la politica di bilancio pubblico e non ci si opponeva alla indicizzazione dei salari alla dinamica dei prezzi. Tranne che in Germania, la politica monetaria non assunse atteggiamenti significativamente restrittivi, anzi si atteneva alle esigenze di finanziamento dei disavanzi pubblici, e l’inflazione continuò a salire, accelerando ulteriormente alla fine del decennio dopo lo shock petrolifero conseguente alla rivoluzione in Iran, fino a diventare un fenomeno nuovo da considerare non più come una fiammata, ma incorporato nei diversi sistemi economici, sia pure in misura diversa.

Nel frattempo, altri economisti, prestando molta attenzione proprio al fatto che l’inflazione stava diventando un fenomeno sempre più endogeno al sistema, posero l’accento sul ruolo giocato dalle aspettative di inflazione nel generare endogenamente inflazione. Alcuni si fermarono alla considerazione di aspettative che si formano in modo inerziale, ovvero che i prezzi e i salari futuri siano fissati sulla base dell’inflazione osservata nel recente passato. Altri cominciarono a riflettere sulla non efficienza/razionalità da parte degli operatori economici di formarsi aspettative solamente guardando al passato; più razionale è considerare l’atteggiamento che le politiche di bilancio e le politiche monetarie assumeranno nel futuro nei confronti dell’inflazione. Questi atteggiamenti dipendono dalla natura politica dei governi e dai legami politico-istituzionali tra governi e Banche Centrali. Legami che negli anni Settanta erano di sudditanza delle autorità monetarie nei confronti dei governi, in un contesto in cui le monete avevano perso, direttamente o indirettamente, l’àncora all’oro.

La teoria della politica monetaria si concentrò quindi sulla necessità che la nuova àncora diventasse l’indipendenza della Banca Centrale alla quale il governo consegna un obiettivo di lungo periodo dell’inflazione che deve essere perseguito indipendentemente dall’atteggiamento che il governo, temporaneamente in carica, intende assumere nei confronti dell’economia reale. Ovviamente, la Banca Centrale con il suo operare col tempo deve rendere credibile per gli attori dell’economia di essere in grado di procedere con indipendenza. Quindi, indipendenza e credibilità delle Banche Centrali in tal modo si sostituiscono all’oro nel garantire il valore della moneta diventata totalmente fiduciaria.

È questa teoria che ha ispirato le Banche Centrali dagli inizi degli anni Ottanta. Sono seguiti dai tre ai quattro decenni di disinflazione, con episodi di deflazione vera e propria. Anche la deflazione era una distorsione che doveva essere corretta e gli strumenti furono (i) tassi di interesse nominali via via più bassi fino a diventare, in alcuni casi, negativi in termini nominali e (ii) espansione della quantità di moneta a disposizione del sistema economico, effettuata attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato secondario (Quantitative Easing). Non sono mancati i timori che l’entità dell’espansione della moneta fosse eccessiva e che si sarebbe rischiato il ritorno a tassi di inflazione elevati. In realtà, un effetto sui prezzi c’è stato e prolungato, ma non sui prezzi di beni e servizi, bensì sui prezzi delle attività finanziarie con effetti redistributivi dei redditi e della ricchezza non trascurabili.

È a questo punto che intervengono in sequenza due fenomeni imprevedibili, non riconducibili direttamente all’economia: due guerre, una metaforica alla pandemia e una effettiva conseguente all’invasione russa dell’Ucraina. Le politiche economiche hanno giustamente reagito in modo aggressivo e convergente alla prima: forte espansione dei disavanzi pubblici sostenuti dagli acquisti di titoli pubblici sui mercati obbligazionari da parte delle autorità monetarie. Lo sconvolgimento dell’intera economia mondiale dovuto ai lockdown determinò situazioni di scarsità di beni e servizi intermedi e quando, con l’uscita dalle restrizioni della pandemia la domanda aggregata reagì più che positivamente, si posero le premesse per la ripresa dell’inflazione, fenomeno sperimentato quasi sempre in concomitanza con la fine delle guerre effettive.

Mentre l’inflazione stava davvero ritornando, la seconda guerra, quella effettiva, impresse all’inflazione una ulteriore accelerazione. Questa volta l’operare di politica monetaria e di bilancio non è pienamente convergente. Da un lato, la politica di bilancio è mirata a contenere l’inflazione compensando la perdita di potere d’acquisto delle fasce più disagiate della popolazione, riducendo così la domanda di indicizzazione dei salari e quindi favorendo il contenimento della potenziale spirale prezzi-salari-prezzi, ma nello stesso tempo sostiene la domanda aggregata che costituisce comunque un fattore di alimentazione endogena dell’inflazione.

Dall’altro lato, l’obiettivo delle politiche monetarie è di evitare che l’andamento attuale dell’inflazione si trasformi in aspettative di inflazione futura altrettanto elevata; esso può solo essere perseguito (i) riducendo la liquidità in circolazione attraverso l’aumento dei tassi di interesse nominali, (ii) azzerando gli acquisti di titoli pubblici già in circolazione e quindi ostacolando il finanziamento dei disavanzi che le politiche di bilancio creano, (iii) non rinnovando i titoli pubblici in portafoglio quando giungono a scadenza e quindi riducendo la quantità di moneta in circolazione (Quantitative Tightening). Con ciò le autorità monetarie sono palesemente consapevoli di indurre spinte recessive nei sistemi economici, lasciando alle autorità fiscali di sostenere la domanda in modo non conflittuale con l’obiettivo da loro perseguito di controllo delle aspettative di inflazione. Per essere convincenti circa la credibilità della loro azione di controllo dell’inflazione in modo indipendente dagli obiettivi dei governi stanno prendendo impegni sui loro comportamenti futuri: “gli aumenti dei tassi di interesse proseguiranno nei prossimi mesi anche se osserveremo qualche rallentamento dell’inflazione, nella consapevolezza che dovremo affrontare il costo di una morbida recessione”.

Detto ciò, il sistema economico, abituato da anni a tassi di interesse nominale quasi nulli e negativi in termini reali, reagisce deprecando le mosse delle Banche Centrali, mentre la discussione è aperta tra gli economisti se la loro comunicazione sia efficace nel tenere sotto controllo le aspettative di inflazione.

Ma quanto è davvero restrittivo lo stato attuale delle politiche monetarie? In ultima istanza, il grado di restrittività della politica monetaria è dato dall’entità del tasso di interesse reale, ovvero, del tasso di interesse nominale meno il tasso di inflazione atteso. Prendiamo il caso europeo in cui il tasso nominale di rifinanziamento da parte della Bce è attualmente il 2,5% e il tasso di inflazione corrente è circa il 10%, se un attore economico si aspetta che l’inflazione da qui al prossimo anno sia quella attuale il tasso di interesse reale è -7,5%. Difficilmente limiterà il suo indebitamento per finanziare le proprie decisioni di spesa, poiché quanto tra un anno dovrà restituire avrà un valore reale del 7,5% minore di quanto ha preso a prestito. Supponiamo, invece, che lo stesso operatore dia fiducia agli annunci della Bce e ritenga che essa sia in grado di ridurre tra un anno l’inflazione al 2%, in tal caso il tasso di interesse reale che entrerà nella sua decisione di indebitarsi o meno sarà dello 0,5%.

Naturalmente, si tratta di due casi astratti ed estremi, la realtà è molto più complessa; servono a comprendere che il grado di restrizione monetaria attuale non è elevato e che il dilemma delle autorità monetarie è se effettivamente intensificarlo, come più sopra indicato, per evitare interventi più pesanti magari fra due anni, oppure cedere alle proteste che sempre si sollevano dal sistema economico di fronte a restrizioni monetarie, cui in questo caso si aggiungono quelle dei governi più preoccupati che i cicli dell’economia coincidano in modo virtuoso con i cicli elettorali (elezioni Usa e Ue, nel 2024).

Non credo che le autorità monetarie vorranno mettere a repentaglio la indipendenza e credibilità acquisite nel corso di questi anni e non credo neppure che il rallentamento dell’attività economica sarà drammatico: gli strumenti di controllo delle grandezze monetarie sono ora decisamente più numerosi di quelli degli anni Settanta.

Archiviato in: Interventi Etichettato con: politica, CoVid19. Le angolazioni della crisi, economia, inflazione

Ucraina: zoom-out sulla situazione mondiale

22 Dicembre 2022 di Fulvio Attina 2 commenti

Anche chi dava per buone le ragioni dichiarate da Putin all’inizio della guerra oggi sembra averle dimenticate. Restano le ragioni del potere a costo di ogni violenza e irragionevolezza. Ci domandiamo come finirà questa guerra e consumiamo informazioni sulle fortificazioni russe e le incursioni ucraine che lo zoom-in di riprese satellitari ingrandiscono. Proviamo a invertire lo zoom. Facciamo zoom-out. Riducendo la scala e allargando il quadro, forse diamo un senso a questa guerra.

Per molti, il mondo contemporaneo è un sistema che si auto-governa grazie ai global governors: multinazionali, associazioni epistemiche, organizzazioni non-governative, organizzazioni internazionali e stati. Essi producono global governance concordando standards e regole di gestione dei problemi collettivi: ad esempio gli standards per la fruibilità universale di internet e quelli di corporate responsibility concordati da networks di multinazionali. C’è del vero in questa concezione che non è del tutto vera. Esistono un sistema politico mondiale e un ordine che sono determinati dagli stati e non da altri global governors. Solo gli stati hanno giurisdizione su porzioni del pianeta nelle quali quanto è concordato dai global governors diventa efficace se e fino a quando i governi lo ritengono opportuno. Contro questa visione della global governance, la guerra in Ucraina ha suonato la sveglia. Abbiamo aperto gli occhi su una situazione del mondo che avevamo trascurato: la transizione dell’ordine politico mondiale.

Gli ordini politici si costruiscono nel sistema politico di ogni società in risposta a problemi collettivi. Ogni ordine politico ha un ciclo di vita. È instaurato da attori politici collettivi (fazioni, partiti, coalizioni) che propongono un progetto di istituzioni politiche e di risposte ai problemi collettivi. Una volta accolta e reputata legittima dagli altri soggetti la pretesa di autorità di una coalizione, il ciclo dell’ordine politico è determinato dalla reputazione delle istituzioni e delle risposte politiche ai problemi collettivi. La soddisfazione dei soggetti per le politiche dà stabilità all’ordine; l’insoddisfazione conduce alla transizione verso un altro ordine.

Se facciamo zoom-out sugli ultimi settanta anni, vediamo che la guerra in Ucraina accade in una situazione dell’ordine mondiale che è diversa da quando è stato legittimato il progetto della coalizione occidentale che, dopo aver vinto la guerra insieme all’Unione Sovietica, la ha emarginata dall’attuazione dell’ordine. Vediamo che, dopo la fase di attuazione di quel progetto, conclusa intorno alla fine degli anni Sessanta, la guerra in Ucraina rende palese l’apertura della transizione dell’ordine. Oggi quello che conta è il declino delle politiche con le quali, dopo la guerra, si sono affrontati i problemi collettivi della finanza, del commercio e della sicurezza degli stati con il metodo multilaterale delle istituzioni costituite sotto la leadership occidentale. Alcuni problemi collettivi non sono entrati nell’agenda dell’ordine mondiale; altri vi sono entrati ma non sono approdati al traguardo di politiche mondiali; altri, infine, come la proliferazione nucleare, la sicurezza alimentare, le pandemie e la crisi ambientale, sono maturati successivamente. Dalla fine della guerra, le politiche di FMI, Gatt/OMC e NU hanno promosso l’interdipendenza tra gli stati e causato trasformazioni non previste che hanno generato aspettative di cambiamento delle istituzioni e politiche mondiali. Recentemente, comunque, il problema climatico ha evidenziato l’importanza della risposta multilaterale perché le risposte unilaterali e minilaterali aggravano i problemi collettivi mondiali. Il policy-making della politica climatica, scarsamente conosciuto, ha evidenziato un dato non preso in considerazione dalle politiche mondiali del dopoguerra: i problemi collettivi devono essere affrontati con politiche-quadro mondiali di cui ogni stato ha la national ownership decisionale, revisionale e attuativa. In sede multilaterale gli stati devono avere gli stessi diritti decisionali nella formazione e nella revisione della politica (vedi le COP della politica climatica). L’attuazione della politica deve essere differenziata in base alle condizioni degli stati e la politica-quadro mondiale deve includere risorse di capability-building degli stati che non le posseggono, così come le politiche del welfare state hanno reso larghi strati di cittadini capaci di conformarsi all’ordine politico interno evitando crisi e rivolte.

Allargando lo zoom, quindi, il muro contro muro prodotto dall’azione sconsiderata dei leaders russi è spiegato dalla situazione di transizione dell’ordine mondiale. In termini più chiari, la delegittimazione delle politiche mondiali esistenti ha ceduto il passo alla situazione di transizione dell’ordine. Si pensi alla sfida alla centralità del dollaro nella politica finanziaria mondiale portata dalle banche finanziarie mondiali create dalla Cina e al pagamento in rubli dell’energia russa; al declino delle regole dell’OMC per ridurre le barriere al commercio portata dagli stessi Stati Uniti; all’inefficacia della politica contro l’aggressione letale a uno stato affidata a cinque stati nel Consiglio di sicurezza portata dal governo russo. Quali che siano le ragioni della guerra in Ucraina e quali che siano i giudizi politici e morali su questa guerra dei governi cinese, indiano e di molti altri governi non occidentali, essi non si associano ai governi occidentali per indebolire l’attuale ordine mondiale.

Nella transizione si tratta di proporre un disegno di istituzioni e politiche che possa essere legittimato da un largo numero di stati inizialmente con la ratifica di trattati internazionali e successivamente con l’attuazione mediante leggi e politiche interne conformi. I governi che sostengono la necessità di un ordine mondiale rules-based, fondato sul diritto internazionale, evidenziano solo una parte del fondamento dell’ordine. Dopo la guerra mondiale, il mondo è entrato in un ordine policy-based che oggi è più che mai necessario a causa del numero e dell’urgenza di problemi collettivi come il problema climatico.

Il senso della guerra in Ucraina è dentro questa situazione di transizione dell’ordine. In questa situazione, ha luogo un lungo processo di riconfigurazione delle coalizioni che supportano diversi disegni di ordine. Il processo termina con la prevalenza di una coalizione sulle altre oppure con la composizione dei diversi disegni di ordine, ma questa in passato non si è verificata. La guerra in Ucraina contiene rischi di escalation e ostacola il dialogo tra i potenziali leaders di coalizioni. Da una parte, gli stati che accettano di conformare le politiche interne a quelle mondiali. Dall’altra, gli stati che intendono conservare intatta la sovranità sulle politiche interne. Se la composizione di questi orientamenti è possibile, richiede comunque tempi lunghi. La situazione mondiale attuale non è di breve durata così come non lo sono state le transizioni del passato.

Archiviato in: Interventi Etichettato con: culture politiche, Unione Europea, Globalizzazione, Guerra russo-ucraina

Regole e corruzione. Politica e etica

19 Dicembre 2022 di Gianfranco Pasquino Lascia un commento

La corruzione politica è sempre immanente dove c’è la politica. Intesa anche, inevitabilmente, come esercizio del potere di prendere decisioni, di assegnare in maniera imperativa risorse ambite, la politica è esposta ad assalti, aggressioni, manipolazioni. Per respingerle sono state formulate norme, previste procedure, garantiti interventi pre e post decisionali. In definitiva, però, dove l’etica della politica si affievolisce e viene meno (talvolta, in alcuni luoghi specifici, fra diverse persone è già debole in partenza), la corruzione serpeggia e colpisce. Allora, bisogna contare su appropriati e efficaci strumenti di disvelamento e di punizione.

Il Qatargate non riguarda la democrazia/democraticità del Parlamento Europeo in quanto istituzione, ma quanto è emerso nel Parlamento, in alcune sue regole, nel suo funzionamento. Da un certo punto di vista, ma sconsiglio di esagerare, il Qatargate rivela qualcosa di molto positivamente importante. Oramai, il Parlamento europeo è, al tempo stesso, luogo di decisioni significative e organismo notevolmente democratico. Anzi, nella sua comprensibile ansia di democraticità, l’EuroParlamento, unitamente alla Commissione, è fin troppo aperto ad una molteplicità di istanze, ai loro portatori e rappresentanti, ai lobbisti. I processi decisionali sono numerosissimi e persino troppo aperti e permeabili. Anche per questa ragione non è quasi più possibile garantirne sufficiente trasparenza.

Una stretta sulle lobby sarebbe subito accusata di restringere la democrazia, ma certo la assoluta pubblicità su chi come e quando ha/deve avere accesso alle sedi e ai procedimenti decisionali è oramai indispensabile. Ancora più necessario è mettere mano alle ‘porte girevoli’ che riguardano gli ex-parlamentari e anche gli ex-commissari. Dovrà essere loro impedita quasiasi attività di rappresentanza e di lobbismo per un certo numero di anni anche nella imprevista forma di responsabili e consulenti di Organizzazioni Non Governative. Il già esistente Comitato Etico ha il dovere di impegnarsi più a fondo senza esitazioni, eccezioni e concessioni.

La democrazia, sia nazionale sia sovranazionale, nasce, vive, prospera in quanto società aperta. Come e più della moglie (oggi ‘compagna’) di Cesare deve essere al disopra di qualsiasi sospetto di corruzione sotto qualsiasi forma: scambi, favoritismi, nepotismo. Deve sapere portare davanti al pubblico e eventualmente in tribunale chi attenta alla sua virtù. Fuor di metafora tocca anche agli elettori e ai partiti che competono nell’Unione Europea selezionare, promuovere, valutare e rimuovere il loro personale politico inadeguato e eventualmente corrotto. Migliorare regole e procedure si può. Insegnare e imporre l’etica politica si deve.

Archiviato in: Interventi Etichettato con: democrazia, politica, etica, corruzione, Qatargate, EuroParlamento

Pace e guerra

5 Dicembre 2022 di Gabriella Cotta Lascia un commento

La nostra attenzione è catturata oggi soprattutto dalla guerra e, tra tutte, da quella Russia/Ucraina, la cui crudeltà da parte dell’aggressore tocca livelli inauditi. Oltre a quella messa in atto con le azioni offensive, anche la comunicazione ufficiale russa è rivelativa di un livello di distruttività intollerabile. [Per saperne di più…]

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