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Roma come metafora dell’abisso

14 Ottobre 2019 di Dino Cofrancesco 2 commenti

Non meraviglia che in un sistema politico in cui il modo di eleggere i rappresentanti del popolo può costringere partiti ideologicamente molto lontani a unirsi per dare un governo al paese, ci si accordi su un numero limitato di ‘cose da fare’ considerate prioritarie per evitare la bancarotta e scongiurare i pericoli incombenti su una democrazia fragile (come la nostra). Le intese circoscritte, però, debbono riguardare i mali più gravi che affliggono una comunità politica e non questioni che, per quanto importanti, possono venir demandate a coalizioni di governo più omogenee e più stabili.

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La sentenza della Consulta: una decisione equilibrata

10 Ottobre 2019 di Luisella Battaglia 2 commenti

I titoli dei giornali che hanno comunicato la sentenza della Corte Costituzionale sull’aiuto al suicidio, nella varietà delle loro intonazioni, dalle più sobrie alle più apocalittiche, ne hanno sottolineato tuttavia coralmente il carattere ‘storico’. In effetti, la sentenza può considerarsi storica in quanto parte del lungo cammino volto ad assicurare il rispetto della dignità della persona. I casi recenti che hanno rotto la congiura del silenzio sulla morte, costringendoci a parlare di che cosa è – e sarà sempre più – lo stato terminale della vita, il tratto estremo del nostro passaggio umano in società tecnologiche ad alta medicalizzazione, ci hanno fatto comprendere le mutue implicazioni tra la sfera della politica e quella della vita, tra polis e bios. Da qui una serie di domande di una complessità straordinaria. Chi rivendica il diritto di morire con dignità dev’essere costretto a vivere suo malgrado? Fino a che punto devono valere le richieste e le aspettative del mondo nei confronti del singolo individuo? Quali sono i limiti dell’ingerenza del sociale nella più intima sfera di libertà del soggetto? Ma soprattutto esiste un’antinomia insolubile tra autonomia e solidarietà? La lezione di John Stuart Mill si rivela, ancora una volta, fondamentale. Credere nella società aperta significa che non ci consideriamo i supremi giudici dei valori di un altro, che non ci sentiamo autorizzati a impedirgli scopi che disapproviamo a condizione, naturalmente, che non invada il campo, egualmente protetto, dei diritti e dei valori altrui.

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Tra fatto e ideale: fragilità e dovere della democrazia

7 Ottobre 2019 di Laura Paoletti Lascia un commento

[Editoriale da «Paradoxa» 3/2019, Democrazie fake, a cura di Gianfranco Pasquino]

Che la nozione di ‘democrazia illiberale’ abbia la stessa consistenza logica di ircocervi e cerchi quadrati (cioè nessuna) è un messaggio che arriva al lettore di queste pagine forte e chiaro. Su tutto il resto, però, le analisi, le argomentazioni e le tesi dei diversi autori compongono un quadro problematico assai più complesso e refrattario a sintesi di comodo. Ma di quale ‘resto’ si tratta, visto che il focus del fascicolo è appunto quello di sostenere che la democrazia o si sostanzia di istituzioni liberali o semplicemente non è? Il fatto è che sotto la superficie del problema esplicitamente tematizzato ne affiora continuamente un secondo, latente e significativamente più spinoso: quello dello stato di salute della democrazia, della democrazia come tale, nuda e cruda, senza la scappatoia di aggettivi di compromesso. E qui le cose si ingarbugliano subito, per due motivi.

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A proposito di fine vita: un appello alla ragionevolezza

3 Ottobre 2019 di Sergio Belardinelli 2 commenti

È terribile dover discutere di questioni ultime, di questioni, letteralmente, di vita e di morte, con argomenti che inevitabilmente feriranno coloro che non li condividono. D’altra parte, però, se non vogliamo ridurre il nostro pluralismo a un semplice gioco di società, è evidente che non si può impedire a nessuno di difendere le proprie convinzioni più profonde. Il problema è piuttosto quello di evitare che la discussione diventi una sorta di ‘guerra civile condotta con altri mezzi’. Ma come?

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Un motivo (forse) per cui ci siamo imbarbariti

30 Settembre 2019 di Carmelo Vigna 1 commento

Mi sono chiesto, come tanti di noi, perché di recente ci siamo così imbarbariti in pubblico, e pure in privato. Perché il populismo e il sovranismo – con relativa facilità – hanno fatto breccia nella gente comune. Non solo tra i vecchi, ma anche tra i giovani. Naturalmente, non si può rispondere con una sola indicazione a domande di questo tipo. E in effetti, molte buone indicazioni di natura socio-politica, e pure economica, sono state già offerte dagli studiosi più accreditati nelle varie discipline. Io qui mi permetto di aggiungere ancora un’altra indicazione, che ha a che fare – non alla lontana – con l’epistemologia filosofica. Ecco: a mio avviso, e metto subito le mani avanti, nell’attuale imbarbarimento collettivo c’è di mezzo qualcosa che riguarda la nostra maniera di credere (o di aver fede). Che si è gravemente ammalata. Per tentare di farmi capire, provo a prendere le mosse dalla struttura elementare del credere (o dell’aver fede).

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