Come ha scritto Amanda Terkel per l’Huffington Post, «For Many Women, It Wasn’t Just About Defeating Donald Trump. It Was About Electing Hillary Clinton» (vedi link). Ci sono americane che hanno votato Hillary Clinton con piena convinzione che meritasse di essere la prima donna Presidente. Probabilmente sono proprio loro le elettrici rimaste maggiormente deluse dal risultato. Oggi devono prendere atto che non sarà Clinton a tagliare il traguardo e questo dispiace perché, nel tempo, la candidata è stata per queste donne un simbolo della battaglia per le pari opportunità. Su questi temi Clinton si è sempre esposta con forza e coerenza, a differenza di altre leader che sono arrivate al potere senza mai troppo preoccuparsene, come notoriamente fece Margaret Thatcher.
Varia
Pronti si vota: fedeli ed infedeli da Nord a Sud
“Accozzaglie” o meno, gli schieramenti sono ormai chiari. Il Partito democratico che non riesce a cambiare la propria natura, perennemente diviso su tutto. Forza Italia più o meno compatta e convinta all’opposizione. Il Movimento 5 stelle schierato per un “no” ormai d’ordinanza e gli altri partiti sparpagliati qua e là (Lega, sinistra e destra per il “no”, Ncd diviso).
Contro la caverna sondocratica. Perché è giusto abbandonare i sondaggi
Avrei dovuto ascoltare il mio piccolo “campione” di studenti americani venuti in Italia a studiare il Bel Paese e a carpire i segreti delle sua grande, ma decadente, bellezza. Tutti rigorosamente bianchi, prevalentemente dell’America costiera (west and east), di famiglia medio-ricca, espressione di quel “mitico” ceto medio che cerca di resistere allo scivolamento progressivo verso un declassamento imposto dall’esterno, da eventi e fenomeni sui quali non ha alcun controllo e influenza. Tra di loro, solo una timida minoranza era disposta a votare per la dynasty clintoniana, espressione plastica di un establishment immutabile e, ai loro giovani occhi, indifendibile.
La scomparsa delle culture politiche in Italia: note non troppo a margine
Ho riflettuto a lungo sugli interventi apparsi nel fascicolo di Paradoxa dedicato alla scomparsa delle culture politiche (n. 3/2015), anche dopo la sua uscita, e sulla discussione con Nicola Antonetti, Rosy Bindi, Mario Morcellini e Antonio Polito in occasione della tavola rotonda di presentazione. Ne sono venute queste note a margine.
Come già perspicacemente rilevato da Laura Paoletti nella sua introduzione al fascicolo, è vero che, in modi e con intensità diverse, tutti i collaboratori “pur nell’unanime riconoscimento di una profonda crisi” si sono opposti a “controfirmare la scomparsa effettiva e definitiva del patrimonio culturale di cui sono rispettivamente chiamati a farsi interpreti”. In un modo o nell’altro, tutti hanno cercato di negare che la cultura loro affidata è scomparsa. [Leggi di più…]
Parole scomode: il “male”, per esempio
1. Ci sono parole interdette nel lessico oggi dominante e perciò furoreggiano gli eufemismi, che offrono vie d’uscita da situazioni imbarazzanti: quindi assolutamente no alla parola “guerra”, ma sì a tutto un ventaglio di espressioni che possono andare da “missioni umanitarie” a “contrasto del terrorismo” fino alla più diluita di tutte, ma dal significato evidente, cioè “assumersi responsabilità chiare” anche se questo comporta spese “e ciò riguarda anche l’opzione militare”. [Leggi di più…]