In questi anni mi è capitato abbastanza spesso di intervenire sul tema dei cattolici e la politica, ma mai che l’abbia fatto spontaneamente o perché sospinto dalla convinzione di avere qualcosa da dire; sempre invece su sollecitazione di qualcuno o per rispondere a qualcun altro, come peraltro accade anche questa volta. Se Francesco D’Agostino non avesse scritto il suo bellissimo editoriale e Laura Paoletti non mi avesse invitato a dire la mia in proposito, non mi sarei neanche sognato di farlo. Ma tant’è.
Venendo alla nostra questione, ritengo, e non da oggi, che in una società plurale, liberale e democratica i cattolici, come del resto i non cattolici, possono avere idee politiche molto diverse, votare partiti molto diversi, senza che questo li renda più o meno cattolici di altri. Sta qui forse la ragione per cui, pur avendo interesse per la politica, non riesco mai ad appassionarmi al tema dei cattolici e la politica. In altre parole, non penso che esista una politica ‘cattolica’, né che i cattolici debbano votare questo o quel partito; esiste invece una buona politica, che ovviamente può essere ispirata anche da idee cattoliche, ma il cui banco di prova è dato principalmente dagli obbiettivi concreti che persegue e dalla competenza e del realismo con cui questi obbiettivi vengono perseguiti. Ciò che voglio dire è che non esiste, almeno secondo me, una politica cattolica dell’istruzione o dell’immigrazione (scelgo ostentatamente questi temi perché sappiamo tutti quanto essi stiano a cuore a noi cattolici), ma semplicemente una buona o una cattiva politica, una politica umana o disumana. Questo almeno mi sembra l’esito auspicabile di una secolarizzazione che abbia fatto serenamente il suo corso. Per questo ritengo e spero che, quando si tratta di votare, anche i cattolici, come tutti gli altri, votino semplicemente il partito che, in coscienza, ritengono meno peggio.
Mi rendo conto ovviamente che per qualcuno il partito meno peggio è quello che programmaticamente si propone di realizzare una politica cattolica; per qualcun altro quello che si presenta come una sorta di braccio secolare della chiesa e via di seguito. Ma, da liberale un po’ all’antica, diffido sempre di una politica che tiene dietro più alle convinzioni palingenetiche che alla realtà e al merito di questa o quella misura. Quando in politica si sventolano bandiere religiose è sempre un brutto segno; è la riprova che, per una ragione o per un’altra, la politica si trova ad essere sovraccaricata di istanze che potrebbero non essere compatibili con un assetto liberale e democratico. Peggio ancora quando a surriscaldare il confronto ci sono religioni secolari.
Detto questo, sono pienamente d’accordo con Francesco D’Agostino, allorché sottolinea come nel passato la questione di come i cattolici italiani dovessero operare all’interno del quadro politico nazionale è stata risolta in modi «diversi e non sempre felicissimi». Aggiungerei che certi errori hanno avuto non poche attenuanti, dovute soprattutto all’ostilità preconcetta di molta cultura laica, ma non è questo il punto. Il punto vero riguarda l’ora, che cosa fare adesso. Francesco D’agostino sostiene che l’unico compito (immenso) che hanno oggi i cattolici è quello di «elaborare visioni del mondo compatibili con le dinamiche sociali del presente». Anche qui sono d’accordo con lui, ma c’è un ‘ma’, anzi ce ne sono due: in primo luogo non sminuirei troppo la funzione che i cattolici potrebbero avere in tutti quegli ambiti del ‘fare politica’ che, come dice D’Agostino (avrei detto Francesco, ma poi qualcuno l’avrebbe potuto confondere col papa), oggi non sono più «di spettanza dei cattolici in quanto politicamente qualificabili come tali». È vero infatti quanto egli dice, ma è pur vero che è in questi ambiti che la politica concretamente si fa e si fanno politiche più o meno buone. Non escluderei quindi che, anche in questi ambiti, i cattolici, non in quanto cattolici, ma in quanto cittadini capaci di far valere nel dibattito pubblico i loro buoni argomenti, possano giocare un ruolo politico importante. Altrimenti uscirebbe depotenziata anche la loro funzione di «elaborare visioni del mondo che siano compatibili con le dinamiche sociali del presente».
Su questo punto si inserisce il mio secondo ‘ma’. Il termine «visione del mondo» è importante, ma in politica potrebbe essere fuorviante. Meglio specificarlo. E siccome sono convinto che, specialmente in una società come quella in cui viviamo, il bene supremo attorno al quale occorre richiamare l’attenzione di tutti è dato dalla dignità e dalla libertà dell’uomo, credo che il compito dei cattolici e della chiesa sia oggi proprio quello di contribuire a creare uno spazio politico all’interno del quale la libertà e la dignità di ogni uomo diventino la bussola di ogni azione politica.
Dino Cofrancesco dice
Sono d’accordo, ma aggiungo solo che i cattolici, in quanto cittadini, dovrebbero mettere da parte, in politica, il loro universalismo controilluminista (non antilluminista) e sentirsi di nuovo parte di una comunità politica che i loro antenati,’credenti adulti’, hanno contribuito a costruire (contro la Chiesa ufficiale e contro Pio IX, non si sa perché proclamato santo). Non ci sono libertà e dignità per una ‘persona’ se non fa parte di una comunità di destino essa stessa portatrice di libertà e di dignità. E’, in fondo, la grande lezione di Carlo Arturo Jemolo, un liberale cattolico (più che cattolico liberale) sempre più dimenticato.
Sergio Belardinelli dice
Sono pienamente d’accordo con l’amico Cofrancesco; userei forse semplicemente “comunità politica”, anziché “comunità di destino”, ma per il resto sottoscrivo quanto scrive. Non si è cittadini al di fuori di una nazione della quale si condividono valori e storia (anche quella più dolorosa). Ma non è facile da spiegare a molti nostri compatrioti cattolici e laici.