I cattolici italiani devono interloquire a partire da norme consolidate dalla dottrina e magari dal diritto canonico, ad esempio in materia di famiglia o in materia di salvezza? O devono dialogare a partire da istanze sociali ed intellettuali considerate prevalenti nella società attuale cercando di individuare valori che siano idonei a riarmonizzare da un lato la Chiesa con la società, dall’altro lato la società con se stessa quando sia attraversata da conflitti etici profondi?
Dalla lettura del testo di D’Agostino e dei commenti già pervenuti mi è sembrato si potessero dedurre i due interrogativi che seguono. Ed è su questi che è senz’altro utile svolgere una breve riflessione.
Prima di tutto ritengo che si debbano evitare due errori gravi. Da un lato confondere il legato dottrinale che abbiamo ereditato dal passato con la parola di Cristo fino a sovrapporre quello a questa, dall’altro lato subire l’egemonia di forme di comportamento sociale prive di un autentico fondamento che si ritengano legittime solo perché apparentemente prevalenti.
Nel primo caso pecchiamo di un eccesso di razionalizzazione; un peccato che ha la sua origine con il prevalere della ‘dimostrazione’ sull’esperienza, quella della manifestazione del divino nella storia, segnata dalla parola del Cristo. Una prevalenza che sorge nel momento della prima crisi della res publica christiana e che si radicalizza con la riforma protestante.
Nel secondo caso pecchiamo di irrazionalismo dal momento che la radicalizzazione del processo di razionalizzazione, di cui sopra, ha condotto all’autonomizzazione completa della ragione rispetto all’esperienza complessiva del mondo umano e sociale, con la conseguenza che qualsiasi processo di razionalizzazione alla fine pretende di essere legittimo. In questo secondo caso ciò che si produce è una pluralità di sistemi di legittimazione che intendono imporre le più disparate esperienze, con la conseguenza di lasciare la società in balia dei più assurdi ‘valori’.
A tal proposito basta prendere in considerazione il faticoso lavoro della nostra Corte costituzionale, per notare come essa sia continuamente impegnata a ponderare il ‘peso’ di diversi confliggenti principi affioranti dal sociale per il tramite dell’ordinamento. Cioè a cercare di superare i conflitti fra le diverse razionalità dando la prevalenza ad una di esse.
Il più doloroso caso di ‘contemperamento’ è, a mio parere, quello che riguarda il diritto all’aborto e la tutela dei diritti del nascituro.
Che poi la Corte non riesca a trovare una solida base per emettere il suo giudizio lo si può intendere dal fatto che si debba aggrappare al principio di ragionevolezza; il quale risulta del tutto irrazionale negli specifici casi nei quali lo si debba applicare a valori non contemperabili come l’avere o il perdere la vita.
I due errori che ho segnalato, dunque, conducono verso una strada piuttosto di dolore che di autentica liberazione, ad un irrazionalismo che poi emerge nei più disparati campi, fino ad affiorare sul piano della convivenza civile e politica. I radicali processi di razionalizzazione sociale e produttiva che si sono affermati negli ultimi decenni non si stanno trasformando nel montare dell’onda dell’irrazionalismo appunto del potere e della vita politica?
Vi è poi da svolgere una seconda riflessione.
I valori si affermano per vie diverse da quelle seguite dalle norme e dalle decisioni politiche. I primi si manifestano e ci coinvolgono grazie alla convinzione fondata sulla loro autenticità, le norme e le decisioni si basano sulla esplicazione di un potere autoritativo. La cosa più normale che possa accadere, purtroppo, è che le due dimensioni vengano confuse. Cosa che avviene, appunto, sia sul piano religioso che sul piano politico.
Sul piano religioso. La Chiesa inevitabilmente vive e si plasma in base alle società nelle quali esercita la sua azione. Essa perciò da un lato deve sentirsi estranea per il riferimento a Cristo, dall’altro lato non può evitare di essere plasmata dalla società, omologandosi. Di tempo in tempo, perciò, dovrebbe chiedersi quanto della sua dottrina sia evangelica e quanto sia il portato del suo essere nel mondo.
Chi è consapevole del difficile cammino intrapreso dalla Chiesa dopo la caduta dell’antico regime, è ben cosciente anche di quanto sia difficile distinguere fra ciò che è autentico e ciò che è frutto del condizionamento sociale.
In questa prospettiva si deve intendere da un lato quanto del passato sia al fondo inautentico, dall’altro lato quanto del presente svii e condizioni a sua volta il tentativo di liberarsi, per giungere al porto dell’autenticità.
Ci sono valori cosiddetti non negoziabili? Non vi è dubbio che ci sono; e noi li possiamo trovare anche in contesti religiosi diversi dal nostro e nella stessa etica laica.
Ci sono casi nei quali per ragioni ‘economiche’ li soffochiamo? Ancora una volta non vi è dubbio. Basti pensare ai diritti del nascituro. Qui non si tratta di definire fino a quando è una cellula o qualcosa di umano. Qui si tratta di chiederci: è giusto sopprimere una possibilità di esistenza? Se è giusto, non sarebbe sensato anche in altri casi sopprimere possibilità di vita? Magari fissando per legge il limite nel quale è consentito vivere? Siamo pronti a compiere questo passo? Non abbiamo lottato contro questa eventualità abolendo la pena di morte?
Comprendo bene che ci sono situazioni e situazioni. Situazioni nelle quali siamo in grado di difendere la nostra possibilità di vita e situazioni nelle quali non siamo in grado. Ma tutto ciò è legittimo?
Ed inoltre, non stiamo costruendo una serie di contraddizioni che finiscono per configurare il nostro modo di vita come ‘società dell’assurdo’?
Terza riflessione.
Droghe leggere e pesanti, commercio di organi, utero in affitto, aborto, eutanasia dei minori e degli incapaci (?), eradicazione del sacro, eradicazione dell’interiorità, lesione della eticità della persona, sfruttamento intensivo degli animali, tolleranza verso gli elementi di violenza presenti in religioni non cristiane, enormi privilegi contro ogni regola attribuiti a gruppi economici internazionali, centralizzazione autoritaria della comunicazione, dissoluzione della democrazia e della democraticità delle organizzazioni politiche… E tuttavia filisteismo delle celebrazioni commerciali come quelle dedicate alla mamma declassata dall’essere madre, quelle dell’ambiente, degli animali, del bambino, ninnolo defraudato della sua infanzia, depatrimonializzazione della famiglia, riduzione di quest’ultima a occasionale relazione fra individui pronti a ricorrere ogni momento al giudice competente…
Dunque, attenzione dall’essere troppo omologhi alla società che si sta affermando. Attenzione a rivedere la nostra cultura tradizionale, ispirandoci troppo alle sottili manipolazioni che viviamo costantemente.
L’esperienza che abbiamo del sociale ci deve indurre a comprendere il condizionamento subito in epoche trascorse, in modo da consentirci di prendere le distanze anche dal condizionamento odierno. E viceversa. Non costituisce affatto di per sé il luogo all’interno del quale possiamo con sicurezza individuare valori che siano veramente tali.
Dove poter cercare, allora, un luogo ideale grazie al quale poter ricostituire un autentico vincolo che sia capace di radicare di nuovo insieme esperienza e ragione?
Personalmente penso che non dobbiamo cercare molto lontano. Se cerchiamo di pervenire alla nostra umanità intesa nel suo senso assoluto, depurata cioè dal male, è difficile evitare di convenire sull’idea che essa si esprime nello splendore della nostra figura. Dove però lo splendore è tutto nell’angelo che si dispiega in quest’ultima.
Perciò, alla fine non avrei da proporre cose più alte delle seguenti: beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, …beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
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