Siamo oramai stancamente abituati allo scadimento del dibattito pubblico, alla sua totale de-formalizzazione, che diventa sempre più prezioso, anche (soprattutto!) sul web, un argomentare sobrio e rigoroso come in questo post, che affronta con coraggio i gravi problemi del paese senza cadere nel catastrofismo. Di più, Bixio si sforza, riuscendovi, di ampliare il focus della riflessione a processi storici e sociali generali, cosa anche questa molto rara in un dibattito pubblico tutto schiacciato sulla cronaca politica ed economica.
Se sono dunque rigore e visione organica a guidare l’analisi, ecco che Bixio ci offre una considerazione direi veramente ‘inattuale’: e cioè che tra le cause della dis-fatta della società italiana ci sia la sua mancata pacificazione, la perpetuazione e non risoluzione, negli anni della repubblica democratica, di conflitti politici e sociali che hanno radici storiche profonde. Porre oggi, o forse alla luce della storia della grande cultura italiana sarebbe meglio dire riproporre, il problema del declino in questi termini a me sembra coraggioso, perché viviamo in un clima morale in cui trionfa invece tutt’altro atteggiamento, quello dell’esaltazione del conflitto fine a sé stesso, dell’adesione identitaria assoluta ed escludente, della partigianeria che non ammette né l’incontro né la comprensione tra le parti. Lo riscontriamo nei lessici e nelle pratiche della politica, della cultura, della vita quotidiana. E Bixio evidenzia con lucidità le conseguenze di una tale faziosità oramai costitutiva dei rapporti sociali: ad esempio, nella fragilità della nazione, ovvero della minima solidarietà tra cittadini con una storia e con regole comuni; nell’inconsistenza del paese sulla scena internazionale; nella corporativizzazione e nel clientelismo.
Forse spingendo troppo in là il pensiero dell’autore, direi che la mancanza di un «autentico momento di sintesi» non è stata tanto una conseguenza storica ineluttabile quanto una precisa responsabilità di istituzioni e individui. Si suole attribuire il rifiuto della fatica che il riconoscimento della complessità comporta al populismo e a tutte le sue eterogenee, indefinite, manifestazioni. E tuttavia, io credo che questa responsabilità vada imputata anche a quegli intellettuali, ahimè anche a quegli accademici, che continuano a riproporre letture riduzioniste e faziose, ideologiche, della complessità del nostro tempo. Come è avvenuto e avviene tuttora, e sono molto d’accordo con Bixio, con il diniego dell’idea di nazione, cioè con la rinuncia al tentativo, peraltro certamente gravoso, di conciliare democrazia, sentimento nazionale e cosmopolitismo. Purtroppo, il narcisismo nichilista dell’intellettuale nostrano, ieri come oggi, fa facile breccia in quanti, tanti, «si battono per l’Idea, non avendone» (permettendomi anch’io di tornare a Flaiano).
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