Ho passato la domenica pomeriggio a prepararmi per la normalità. Ho cominciato con il chiedermi: è normale che i retroscenisti un giorno sì l’altro anche dichiarino che il governo Conte barcolla, traballa, sta per saltare? E lo dicano da almeno tre mesi riportando non fatti, ma dichiarazioni, gossip, spifferi? Caro Bogie (Humphrey Bogart), non vorrai mica giustificarli dicendo «è la stampa, bellezza»?
È normale che vengano criticati i molti e dettagliati Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri perché danno soldi, contributi, sussidi a pioggia? Ma se il Covid-19 ha colpito tutte le attività del paese, tutti i suoi comparti economici, tutti gli operatori, i sussidi avrebbero con un minimo di ‘giustizia sociale’ dovuto concentrarsi esclusivamente su alcune attività (le mie preferite sono musica, cinema e spiagge) lasciando tutte le altre al bruttissimo destino della scomparsa nella miseria?
È normale che tutti i liberisti, gli sregolati deregolatori, i cavalieri rampanti della flat tax oggi vogliano, fortemente vogliano, che lo Stato intervenga qui e là e anche un po’ più in là e comunque di più?
È normale che la lentezza nell’applicazione delle regole e nell’erogazione dei fondi sia attribuita come colpa al governo e non piuttosto a una burocrazia irriformata (da nessuno dei precedenti governi, neppure da quello, arrembantissimo, del febbraio 2014-dicembre 2016), e non alle banche?
È normale che qualcuno pensi che c’è bisogno di un governo di unità nazionale, senza spiegare che cosa significa esattamente: todos Ministros? e nessuno getti lo sguardo oltre le Alpi per vedere se da qualche parte in Europa, a causa della crisi e come risposta, si sia proceduto a dare vita a governi di unità nazionale?
È normale che qualcuno, con un passato da sostenitore del Premierato forte (sic), accusi di deriva autoritaria il Presidente del Consiglio apportando come prove decisive, primo, il suo avere emanato otto o nove DPCM (quattro dei quali già inseriti in decreti-legge che il Parlamento è chiamato a esaminare e votare) e, secondo, avere annunciato quello che faceva in numerose conferenze stampa? Se non avesse fatto così quanto è probabile che il rimprovero sarebbe stato quello di «non averci messo la faccia»?
È normale che qualche giornalista annunci che è molto probabile che la rabbia generata dalla disperazione economica aprirà spazi all’esplosione sociale? Certo, c’è anche chi vola più in alto e sostiene che bisogna creare una nuova classe dirigente. Mai di domenica. Mi ci proverò domattina dopo la tonificante pausa caffè. Poi i sostenitori della nuova classe dirigente si dividono fra quelli che vogliono fare appello a Mario Draghi, che immagino sorridere, con qualche preoccupazione, e quelli che chiedono consigli al decano del Parlamento italiano, Pierferdinando Casini, il democristiano eletto Senatore del Partito Democratico nel collegio di Bologna-Centro, subito passato al Gruppo misto, che nel 2023 festeggerà (se non sarà stato eletto Presidente della Repubblica…) quarant’anni di vita parlamentare.
Non dirò nulla su quei parlamentari, alcuni dei quali con un noto passato assenteista, e i loro buonisti di riferimento, che si lamentano perché il Parlamento è (stato) chiuso per molto tempo. Potrebbero approfittarne per leggere la Costituzione dove sta scritto, art. 62, secondo comma, che «ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente … o di un terzo dei suoi componenti».
Scripta manent. Temo proprio che tutto quello che ho scritto sia normale. D’altronde, uno dei non migliori slogan di conforto al nostro scontento è: «tutto tornerà come prima». Vorrà dire che non avremo imparato un bel niente, che non avremo fatto, rimango nelle banalità, della crisi «una opportunità per l’innovazione», la famosa «crisi creativa».
Vorrà dire che non ha fatto la sua comparsa nessuna nuova classe dirigente, operazione che richiede vent’anni di preparazione e, soprattutto, un conflitto/competizione veri, non fra parlamentari cooptati, raccontati da giornalisti che conoscono i fatti e studiano.
È ora che qualcuno dica alto e forte che non vuole affatto tornare alla normalità, ma che auspica un po’ di eccezionalità per la quale sarebbe persino disponibile ad impegnarsi. Che sia questo il senso più profondo dello smart working?
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