Siamo in estate e la calura, esagerata e malsana perché qualcosa si sarà rotto definitivamente nelle meteorologie, spinge la mente verso il disimpegno e il piede verso l’ammollo. Persino i galatei delle ricorrenze sono rimossi e la dimenticanza appare un utile rimedio ai nostri giorni difficili (e non solo per il clima). Vorremmo, però, raccontare di un episodio accaduto novant’anni fa, nell’estate del 1931, che forse dice cose utili per capire il senso di alcune parole, come conformismo, astuzia ed eroismo, nello spirito pubblico degli italiani. Di 90 anni fa, certamente. Ma forse anche di oggi: i geni non si disperdono.
Dunque la Gazzetta Ufficiale del 28 agosto del 1931 pubblicò il regio decreto n. 1227 che all’articolo 18 obbligava i docenti universitari a giurare devozione «alla Patria e al Regime Fascista». Di fronte all’ineluttabile esito del licenziamento nel caso di rifiuto, giurarono quasi tutti. Si chiamarono fuori meno di venti su 1225 professori ordinari. In realtà il numero esatto fluttua tra 12 e 18 perché alcuni tra coloro che si rifiutarono non lo fecero con una espressione formale, ma adottando modalità indirette, come il pre-pensionamento (Vittorio Emanuele Orlando), o la permanenza o l’esilio in università straniere dove erano presenti per ragioni accademiche (Borgese, Sraffa).
La maggioranza delle fonti fa, tuttavia, riferimento a 12 rifiuti, che il regime ebbe facile a commentare come un infinitesimale uno per cento dell’Università italiana. Sorge spontanea la domanda: possibile che tutta l’alta cultura italiana fosse stata folgorata dal fascismo? Evidentemente no. Un certo numero di accademici, aderenti alle correnti di pensiero liberale, comunista e cattolica, accettarono il giuramento con l’intento di continuare a svolgere un insegnamento che, con la loro presenza, poteva diventare un seme di pedagogia della libertà.
Così Togliatti spingeva il latinista (e poi costituente) Concetto Marchesi a rimanere al suo posto per svolgere un’opera utile per il partito (comunista) e per l’antifascismo. Ma anche i liberali Benedetto Croce e Luigi Einaudi ispiravano la scelta di Guido Calogero a restare nell’università per continuare l’insegnamento di libertà ed impedire che altri docenti, aderenti al fascismo, potessero avvelenare gli animi dei giovani. Analoga scelta venne compiuta da professori cattolici, invitati a giurare con «riserva interiore» dal Papa, e consigliati da quel dottor sottile che fu Agostino Gemelli. Dunque fior di antifascisti, per scelta tattica, giurarono.
Alla fine il Ministro del governo Mussolini Alfredo Rocco, a cui Albert Einstein aveva mandato una lettera preoccupata sospinto dal professor Francesco Ruffini, avrebbe potuto rispondere al premio Nobel che il giuramento non implicava adesione ad un indirizzo politico, come veniva dimostrato dall’adesione di quasi tutti i professori universitari, «tranne sette o otto». Fin qui la storia di quella pagina non particolarmente esaltante della storia dell’Accademia italiana.
Resta da domandarsi se l’eccezionalità drammatica di quella stagione può essere consegnata ad un episodio irripetibile, oppure se qualcosa di quel gene del conformismo e dell’ossequio al potere, come una particola urticante di medusa, lascia ancora qualche traccia nei luoghi dove solo la cultura dovrebbe dettare le sue ragioni. Ognuno può pescare nella sua esperienza, cercando esempi che troverà, forse, sparsi generosamente. Di certo conformismo e tattica astuta non sono elementi estranei al dibattito pubblico contemporaneo. E di eroi se ne vedono pochini.
Per parte nostra l’unica cosa che possiamo fare è ricordare quei dodici nomi: Ernesto Bonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Jacob Benedetto Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco e Edoardo Ruffini, Vito Volterra, Lionello Venturi. Lasciamo che sia il genero di Lombroso, Mario Carrara, a spiegare con parole limpide il senso del suo rifiuto, che poi è anche il senso della missione di un professore universitario: «Abituato ad attribuire al giuramento la serietà dovuta, non ho sentito di potermi impegnare a dare intonazione, orientamento, finalità politiche alla mia attività».
Chiaro, no?
Dino Cofrancesco dice
Le argomentazioni di Togliatti e di Croce erano ineccepibili, caro Pisicchio e indirettamente confermano che il regime non era così totalitario. Hilter e Stalin non si sarebbero accontentati di un giuramento prestato da docenti notoriamente antifascisti o afascisti. Grazie a loro l’ideologia fascista non ha lasciato traccia nelle Università italiane. Del resto, in tutti gli ordini di scuola, il catechismo fascista ha inciso sulle coscienze ancor meno dell’ora di religione dei miei tempi, in cui si ripassava il compito dell’ora successiva o s’ingaggiavano tremende, impegnative, battaglie navali..