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Consiglio europeo 17/21/2020. Un passo avanti qualitativo per l’UE

27 Luglio 2020 di Paolo Onofri 3 commenti

Nel 1907, dopo una nuova crisi finanziaria che coinvolse il sistema bancario, il Congresso Usa considerò la possibilità di istituire una banca pubblica che regolasse il sistema finanziario e nel 1914 fu fondata la Federal Reserve. Negli anni trenta del novecento, la Grande Depressione fece da catalizzatore per dar vita a sistemi di welfare state nel mondo avanzato. Dopo il mercato unico della metà degli anni ottanta e la moneta unica dieci anni dopo, la doppia recessione europea a cavallo degli anni dieci di questo secolo segnò un momento importante di arricchimento delle istituzioni monetarie europee. In una riunione del Consiglio Europeo nel giugno 2012, fu avviata la Unione Bancaria attribuendo alla Bce il ruolo di Vigilanza Unica per la stabilità finanziaria e, poche settimane dopo, i paesi membri dell’Unione Monetaria non si opposero alla intraprendenza del Presidente Mario Draghi, il quale inventò uno strumento di intervento diretto sul mercato dei titoli di stato per evitarne le possibili crisi (tecnicamente, Outright Monetary Transactions).

Per il fatto stesso di averlo annunciato con credibilità non dovette mai ricorrervi. La politica monetaria, dopo di allora, acquisì tutti i gradi di libertà di mettere in atto misure non convenzionali che sta tuttora perseguendo.

Viste in questa prospettiva, le conclusioni del Consiglio Europeo del 17-21 luglio, sfrondate dalle discussioni sulle quantità, sono giustamente in linea con le tappe istituzionali appena citate. Ovviamente, si tratta di misure temporanee per i prossimi cinque anni che impegnano i rimborsi per più di trent’anni, dal 2026 al 2058, ma qualora si presentassero nuove emergenze sarebbe difficile non seguire l’esempio che si sta delineando.

Due sono gli aspetti importanti che devono essere messi in luce. Il primo, riguarda il fatto di configurare una politica fiscale europea coordinata con la politica monetaria della Bce, per determinare il policy mix adeguato a riportare il sistema economico europeo su un sentiero di crescita di lungo periodo. Il secondo, come già osservato da molti, riguarda la disponibilità ‘una tantum’ di creare un debito comune, con le implicazioni fondamentali che ciò comporta.

Veniamo ora alla logica d’insieme dell’accordo. Per inciso, consiglierei di leggere il testo https://www.consilium.europa.eu/media/45109/210720-euco-final-conclusions-en.pdf, per rendersi conto della complessità dei problemi affrontati e della superficialità di chi spesso si trincera dietro l’accusa di euro-tecnicismo, euro-burocratismo ecc. per non fare lo sforzo di comprensione della natura dei problemi che devono essere affrontati per tenere assieme gli interessi di 27 paesi, senza per ciò esimersi dal pontificare in buona fede o strumentalmente.

La forma della foresta di cui sopra si è tradotta in una trattativa attorno ad ‘alberi’ molto intricati tra loro. L’oggetto della trattativa era definire il bilancio settennale 2021-2027 inglobandovi un piano speciale di dimensioni poco più ampie dei due terzi del bilancio stesso. Il piano speciale originariamente denominato dai proponenti Recovery Fund, in realtà è stato ridenominato, non senza valenza segnaletica, Next Generation EU (NGEU), ovvero, un programma rivolto al consolidamento della Unione Europea per la prossima generazione e non per stimolare la ripresa in questi mesi. A quest’ultimo fine, la Commissione Europea (CE) aveva già predisposto altri strumenti (Sure, Mes, e provvedimenti minori).

Il bilancio pluriennale è finanziato dai 27 paesi con contributi pari circa all’1,1% del proprio PIL. Nei prossimi sette anni questi copriranno i 1074 miliardi di euro di spese programmate. Si è posto quindi il problema di come finanziare gli impegni NGEU (i 750 miliardi); essendo spese straordinarie saranno finanziate con indebitamento diretto sul mercato finanziario da parte della CE. Come sarà garantito chi farà credito alla CE che gli impegni a pagare interessi e rimborsi saranno onorati?

Per quanto riguarda la quota che verrà ceduta a prestito, ci sarà la concorrenza del singolo paese con un costo minore e una durata più lunga di quelli che dovrebbe affrontare se andasse a raccogliere direttamente sul mercato quei fondi; questo perché la CE ha un merito di credito più elevato per la presenza implicita di Germania, Paesi Bassi, Austria e altri paesi del Nord con affidabilità molto alta. Ovviamente, l’interesse diretto di questi paesi di prendere a prestito dalla CE è nullo; infatti sui loro debiti sono praticati attualmente interessi negativi.

Quella parte di debito della CE che servirà per distribuire fondi come sussidi (390 miliardi) sarà garantita dagli impegni di tutti i 27 paesi membri secondo due modalità. La prima è costituita dall’impegno dei paesi membri di aumentare ‘una tantum’ il proprio contributo al bilancio comunitario fino eventualmente allo 0,6% del proprio PIL. La seconda, è l’impegno preso dai paesi di dotare la CE di fonti di entrate proprie.

Ciò si è esplicitato nella programmazione, nel corso del 2021, di un prelievo europeo sulla plastica non riciclabile e, entro il 2023, sia la digital tax, che la cosiddetta carbon border tax, ovvero, una imposta sull’importazione di prodotti la cui produzione e consumo ha implicato e implica elevate emissioni di anidride carbonica che non sono state tassate nella stessa misura in analoghi prodotti nel paese che li importa.

Quest’ultima modalità, su come far fronte al debito europeo con una fiscalità comune, assieme all’emissione stessa del debito europeo costituiscono gli alberi più importanti che danno forma alla foresta dell’accordo cui è giunto il Consiglio Europeo.

Mesi fa, che questa crisi potesse essere una crisi di crescenza per l’Unione Europea era solamente un auspicio, ora assume qualche contorno di realtà, salvo che la conflittualità politica interna ai singoli paesi e quella tra i paesi non rinsecchisca questi germogli.

consiglio europeo

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Commenti

  1. Vincenzo d'Elia dice

    28 Luglio 2020 at 9:15

    Ritengo che quanto fatto in sede europea in questi mesi ha finalmente definito il percorso che i paesi membri dovranno portare avanti.
    Si è chiarito quali di questi vogliono realmente partecipare e quali vogliono solo sfruttare le opportunità offerte.
    Spero solo che ci si ricordi che ci sono paesi (Italia e Germania) che essendo paesi industriali producono valore aggiunto e quindi ricchezza ed altri che invece poggiano il loro PIL sugli strumenti commerciali, finanziari e fiscali.

    Rispondi
  2. Dino Cofrancesco dice

    28 Luglio 2020 at 7:08

    Caro Pangloss,
    si dice a Genova ‘speremu ben’..

    Rispondi
    • Laura Paoletti dice

      28 Luglio 2020 at 9:05

      A fronte di ragionamenti documentati e pacati, il Forum farebbe volentieri a meno di commenti dallo stile goliardico

      Rispondi

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