Con sempre maggiore frequenza, all’interno del dibattito sui mutamenti della democrazia, vengono indicate come «democrazie illiberali» quei paesi che, più o meno gradualmente, minacciano alcuni fondamentali principi che concretizzano l’ideale democratico. Con un’accezione solo in parte differente, questa espressione veniva utilizzata dagli studiosi dei regimi politici già oltre vent’anni fa, alla metà degli anni Novanta, per indicare proprio quei paesi dove il processo di democratizzazione faticava a imporsi o dove, invece, era sul punto di fallire. Il contesto mondiale, allora, era molto differente dall’attuale. Le aspettative verso una «globalizzazione della democrazia», specialmente dopo la caduta del muro di Berlino, erano molto alte. Oggi, invece, il quadro sembra essersi capovolto. I segnali di disaffezione verso la pratica democratica sono conclamati (per alcuni addirittura irreversibili) e, pertanto, sembra farsi strada una forma, per così dire, light di democrazia, nella quale gli organi indipendenti non sono più tali perché legati a doppio filo con l’esecutivo, le minoranze non sono riconosciute e, in taluni casi, persino perseguitate, i capi di governo non mostrano imbarazzo nell’utilizzare metodi dispotici, specialmente se scelti attraverso elezioni che in realtà somigliano molto a plebisciti (e non più a libere e regolari competizioni): in pratica, sta emergendo una forma di governo che mantiene in parte alcuni caratteri democratici, ma che rinuncia ai presupposti liberali, appunto una «democrazia illiberale».
Eppure, definire «democrazie illiberali» paesi talvolta molto differenti per storia, tradizioni e pratiche istituzionali non è del tutto corretto, benché l’espressione colga efficacemente dei mutamenti in atto. Senza dubbio, rafforza le già preoccupanti informazioni sullo stato di salute della classica democrazia-liberale, che, in questo modo, sembrerebbe davvero giunta al capolinea. È davvero così?
In un intervento teso a capire se la democrazia sia «esportabile» o meno, Giovanni Sartori ricordava che per rispondere a un quesito del genere occorre scomporre il concetto di liberal-democrazia nei due elementi – liberale e democratico – che lo compongono, laddove il primo è «liberante», cioè libera il demos dall’oppressione, mentre il secondo è «potenziante», nel senso che potenzia il demos (Democrazia. Cosa è, Rizzoli, 2011, p. 340). Pertanto, la liberal-democrazia è «demoprotezione» (la protezione del popolo dalla tirannide) e «demopotere» (l’attribuzione al popolo di quote, anche crescenti, di effettivo esercizio del potere). Per Sartori, la componente liberale della democrazia è la condizione necessaria e, quindi, l’elemento che la definisce, mentre la componente democratica ne è l’elemento variabile che ci può essere ma anche non essere: la «demoprotezione» costituisce dunque una «definizione minima» ed essenziale della democrazia, mentre il «demopotere» ne definisce le caratteristiche contingenti, che si possono manifestare in diverso modo e misura. Secondo un schema del genere, l’espressione «democrazia illiberale» sembrerebbe in effetti invertire i termini della questione perché antepone il «demopotere» alla «demoprotezione», definendo una sequenza opposta a quella che definisce la liberal-democrazia.
Ma, in questi casi, è ancora corretto utilizzare il termine «democrazia» se si accetta l’idea che la sola democrazia mai realizzata sia la liberal-democrazia? È forse più corretto parlare di «liberalismo antidemocratico»? Ovviamente non è questa la sede per fornire risposte a interrogativi così complessi. Infatti, l’intento di questo intervento è semplicemente quello di sottolineare come – una volta di più – le trasformazioni politiche e istituzionali sollecitano lo studioso (e non solo) a interrogarsi sul corretto utilizzo delle categorie con le quali spiegare i fenomeni sociali, economici e politici. Quella, per molti versi suggestiva, di «democrazia illiberale» può essere utile per cogliere alcune più recenti trasformazioni della democrazia, ma necessita di una chiara definizione dei suoi contorni, per non incorrere nell’errore di considerare superati, troppo frettolosamente, l’impianto teorico e l’insieme delle pratiche istituzionali della «democrazia liberale».
Marco Valbruzzi dice
Non solo è scorretto parlare di “democrazia illiberale”, ma è anche profondamente sbagliato e fuorviante. Il demo-potere è nullo (e potenzialmente nocivo) senza demo-controllo.