Forse mai come ora la Costituzione è invocata per sostenere tesi radicalmente opposte circa l’introduzione del green pass. I contrari si appellano all’inviolabilità della propria libertà personale (art. 13) che si traduce nelle loro assolute libertà di circolazione (art. 16) e di cura (art. 32). I favorevoli, invece, fanno leva sulla tutela della salute come interesse collettivo (art. 32) in grado di limitare le suddette libertà.
È evidente la paradossalità del contrato dato che la Costituzione, nella sua pur necessaria elasticità, non può essere interpretata fino al punto da legittimare tutto ed il suo contrario. È opportuno allora andare a rileggerla, senza superficialità e in modo sistematico. Punto di partenza obbligato è l’art. 32 Cost., secondo cui la salute non è solo un «fondamentale diritto dell’individuo» che la Repubblica deve tutelare, ma anche un «interesse della collettività».
Per ragioni di tutela della salute pubblica, la Costituzione infatti prevede che si possono limitare le libertà di: domicilio (ad esempio con le ispezioni sanitarie nei luoghi di lavoro); riunione (che può essere preventivamente vietata per comprovati motivi di incolumità pubblica); circolazione (come esattamente accaduto durante il lockdown) e d’iniziativa economica (che non può svolgersi in contrasto con la dignità umana e quindi con la salute individuale e collettiva). Inoltre, e più specificamente, in nome della salute pubblica, si possono per legge introdurre determinati trattamenti sanitari obbligatori, come le vaccinazioni, con il limite del rispetto della persona umana. Ciò, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, alle seguenti cinque condizioni:
a) sia preventivamente dimostrata in sede scientifica l’efficacia della vaccinazione nel prevenire e, quindi, debellare malattie infettive e diffusive. A tal fine, il fatto che le vaccinazioni debbano essere previste per legge consente che le evidenze scientifiche siano discusse in modo trasparente nelle sedi parlamentari e quindi esposte alla valutazione dell’opinione pubblica;
b) la vaccinazione deve tutelare la salute non solo individuale ma anche collettiva. A chi ritiene le attuali vaccinazioni lesive del rispetto della persona umana forse vale la pena ricordare che tale limite fu introdotto per evitare che lo Stato potesse, come nel programma nazista Aktion 14, imporre pratiche sanitarie eugenetiche «per il miglioramento della razza» radicalmente lesive della dignità umana, come la soppressione o sterilizzazione obbligatoria degli handicappati e dei portatori di malattie ereditarie o l’uso di pazienti vivi per sperimentazioni mediche. Il che svela l’abnormità del paragone e la mancanza di senso di misura e di proporzioni di quanti invocano il rispetto di tale limite di fronte a trattamenti sanitari validamente testati in sede scientifica e la cui efficacia è statisticamente innegabile;
c) il sacrificio della libertà di autodeterminazione personale sia proporzionale e ragionevole rispetto all’interesse della collettività al non diffondersi della malattia; pertanto, in un’ottica di bilanciamento tra mezzi e fini, la vaccinazione può essere dapprima solo raccomandata, poi imposta come onere o requisito obbligatorio temporaneo per chi vuole compiere determinate attività sociali o economiche (come giustappunto nel caso del green pass), infine resa obbligatoria per tutti;
d) la vaccinazione non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiono normali e, pertanto, tollerabili o siano comunque marginali e purtroppo statisticamente inevitabili;
e) chi subisca una menomazione permanente della propria integrità psico-fisica a causa di una vaccinazione, anche se non obbligatoria ma fortemente raccomandata, abbia diritto ad essere risarcito ed indennizzato.
Nel nostro caso queste cinque condizioni sono tutte ricorrenti e dimostrano come l’approccio fin qui seguito dal Governo sia stato sempre coerente con il dettato costituzionale. Del resto non è affatto un caso che, tranne isolate eccezioni di qualche giudice di pace, tutte le sentenze, nazionali e straniere, finora emesse hanno confermato la legittimità di quanto operato e l’inconsistenza scientifica e giuridica degli argomenti opposti, frutto di una visione individualista inevitabilmente recessiva di fronte all’interesse pubblico di contrastare la diffusione della pandemia da COVID-19.
Né si può legittimamente sostenere che in questo modo quanti privi del green pass sarebbero discriminati. Discriminare significa trattare in maniera diversa ciò che andrebbe trattato in maniera uguale, senza una valida ragione. Ma qui la valida ragione c’è ed è per l’appunto quella della tutela della salute pubblica in nome degli obblighi di solidarietà sociale che abbiamo reciprocamente come consociati e, in particolare, verso gli immunodepressi che, pur volendo, non possono vaccinarsi. Non si tratta, dunque, di una discriminazione, ma di una legittima differenziazione di situazioni diverse (vaccinati/non vaccinati) che vanno trattate in maniera diversa, pena una irragionevole (questa si!) parità di trattamento.
Solo una visione anarcoide della propria libertà personale può dunque arrivare a sostenere non tanto il rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione, legittimo finché giustappunto non imposta per legge, ma il diritto costituzionalmente protetto di poter continuare a vivere come se nulla fosse accaduto finora, mettendo a repentaglio la salute propria e altrui. Come efficacemente detto dal Presidente Mattarella, libertà di cura non significa libertà di far ammalare gli altri.
Gianfranco Pasquino dice
concordo su tutto e plaudo alla cogenza dell’argomentazione