Qual è oggi il ruolo della filosofia della scienza nel più vasto panorama della filosofia contemporanea? Non v’è dubbio che la risposta a una simile domanda sarebbe stata assai più facile qualche decennio orsono rispetto ai nostri giorni. Se infatti i neopositivisti logici avevano idee ben chiare sia per quanto concerne i rapporti tra scienza e filosofia, sia a proposito del compito che la filosofia della scienza (intesa come tipica filosofia di) è chiamata a svolgere nei confronti della filosofia senza ulteriori specificazioni, oggi il declino neopositivista e la parallela affermazione dei vari tipi di epistemologia post-empirista hanno sostanzialmente cambiato le carte in tavola.
La pandemia causata dal Covid-19 induce a riflettere con attenzione su questo fatto, poiché ha prodotto un aumento esponenziale di teorie e tesi anti-scientifiche dimostrando che la fiducia nella scienza, contrariamente alle apparenze, è tutt’altro che scontata. Al contrario, proprio lo scoppio della pandemia ci fa capire che settori consistenti delle nostre società avanzate e ipertecnologiche sono preda di tendenze che invocano, per quanto non sempre in modo del tutto consapevole, un ritorno al pensiero pre-scientifico.
In epoca antecedente all’avvento del Covid, alcuni filosofi della scienza di successo avevano assunto, sul tema dei rapporti tra scienza e filosofia e sul ruolo svolto dall’epistemologia in un ambito filosofico più generale, posizioni che appaiono specularmente opposte a quelle neopositiviste. Si pensi per esempio a quanto sostiene Paul Feyerabend, il quale è stato – dopo Popper – il filosofo della scienza più popolare degli ultimi decenni. In una delle sue ultime opere, Dialogo sul metodo (Laterza, Roma-Bari 1989), leggiamo tra l’altro che la conquista della Luna non ha affatto un valore scientifico oggettivo e condivisibile da tutti gli esseri umani, ma ne acquista uno per noi in quanto, nelle nostre società occidentali dominate dalla scienza e dalla tecnologia, siamo stati educati sin dall’infanzia a ritenere importanti le imprese scientifiche.
Ne consegue tra l’altro che tra ciò che noi conosciamo della realtà che ci circonda grazie ai risultati conseguiti della scienza moderna e ciò che di questa stessa realtà pensa di conoscere una tribù primitiva in base alle proprie credenze magico-animistiche, non sussiste in effetti alcuna differenza. Si tratta – sempre secondo Feyerabend – di visioni del mondo egualmente legittime e praticabili. Incamminandosi lungo questo sentiero, la nozione di ‘progresso scientifico’ perde qualsiasi valore e non ha senso parlare di civiltà più progredite (perché hanno maggiori conoscenze) e meno progredite (perché le loro conoscenze sono minori). Ognuno può conoscere il mondo come vuole: se egli decide che la magia è più utile della scienza a questo fine, non spetta a noi convincerlo del contrario. Anzi, bisogna prepararsi all’eventualità che sia lui a convincere noi della superiorità della magia in quanto strumento di conoscenza della realtà. Qualcuno potrebbe far notare al nostro epistemologo che, procedendo in quel modo, egli trascura volutamente i successi pratici conseguiti dalla scienza e dalle sue applicazioni tecnologiche, ma Feyerabend replicava rinviando alle summenzionate considerazioni sulla conquista della Luna: perché mai si dovrebbe misurare la bontà di una particolare visione del mondo in base ai risultati pratici cui essa dà luogo? E, a quel punto, è chiaro che il dialogo diventa piuttosto arduo.
In effetti, non è difficile capire che queste affermazioni di uno studioso di successo come Feyerabend rispecchiano stati d’animo e tendenze culturali che sono oggi assai comuni nel grande pubblico. E che la pandemia, per l’appunto, ha fatto emergere con forza. Chiunque segua con una certa attenzione la stampa e i programmi televisivi più diffusi sa che tutto ciò che attiene alla sfera del magico ottiene un successo crescente, mentre non è raro ascoltare o leggere esaltazioni di vie alternative alla scienza per conoscere e valutare la personalità umana (si pensi, per fare un solo esempio, all’astrologia). La popolarità delle tesi di Feyerabend è insomma il classico ‘segno dei tempi’. Egli viveva e lavorava in un Paese – gli Stati Uniti – che costituisce il maggiore esempio di società dominata dalla scienza e dalla tecnologia; ma non a caso, proprio in quel contesto, la presenza costante di centri di ricerca scientifica all’avanguardia è accompagnata da un’imponente fioritura di sette magico-esoteriche.
Occorre a questo punto chiedersi seriamente quale potrebbe essere per uno studioso come Feyerabend il ruolo della filosofia della scienza (intesa sempre come tipica filosofia di). Leggendo le sue opere, è facile ricavare l’impressione che la filosofia della scienza, concepita come disciplina autonoma, debba sparire (né, del resto, miglior sorte sembra toccare alla filosofia priva della specificazione di qualcosa). È a mio avviso piuttosto chiaro che se non si ammette la serietà, la plausibilità e l’utilità di un’indagine filosofico-metodologica sulla scienza, allora non ha parimenti senso porsi il problema dei rapporti tra filosofia da un lato, e filosofia della scienza dall’altro. E, alla base di tutto, sta la convinzione di Feyerabend (e di molti altri pensatori dei nostri giorni) che la scienza non possegga affatto i titoli per farsi preferire ad altre forme di conoscenza di cui l’uomo può disporre: dal misticismo alla magia. Egli sembra addirittura invocare un ritorno al pensiero pre-scientifico adottando, più o meno, uno slogan di questo tipo: «Dimentichiamo Galileo e riprendiamo in considerazione ciò che avvenne prima di lui».
Giunti a questo punto, siamo autorizzati a notare che le parole di Feyerabend contengono anche alcuni elementi di verità. Che la scienza non costituisca l’unica via per acquisire la conoscenza è una tesi la quale, dopo la crisi del positivismo logico, trova oggi largo credito. Popper la sottoscriverebbe (pur con qualche riserva), e così molti epistemologi che pur non accettano le argomentazioni feyerabendiane. Avanzata in quei termini tale tesi altro non è che la base di ogni posizione anti-scientista, dove per scientismo si intende la concezione, tipica del positivismo del secolo scorso e del nostro, secondo cui soltanto nella scienza – ed in particolare nelle scienze empirico-naturali – si conosce, con ciò privando di valenza cognitiva qualsiasi altro ambito del sapere umano.
Ma lo scientismo è oggi assai meno popolare di quanto non fosse nella prima metà del ’900, ed è lecito chiedersi, visto che le tendenze anti-scientifiche sono piuttosto diffuse ai giorni nostri, se per combatterlo occorra davvero far ricorso ad argomenti estremi come quelli avanzati da Feyerabend. Per dirla in altro modo: è realmente necessario per far comprendere che la scienza non è l’unica forma di conoscenza negare il fatto – di per sé evidente – che le pratiche magico-animistiche non sono in grado di far giungere l’uomo sulla Luna e di consentirgli una conoscenza pressoché completa del sistema solare, mentre la scienza è riuscita in questo intento? La risposta di Feyerabend: «D’accordo, ma a che serve tutto ciò?» tronca ogni possibile discussione, in quanto sembra revocare in dubbio la stessa caratterizzazione classica dell’uomo come animale razionale e naturalmente desideroso di conoscere la realtà che lo circonda. E, se non si è d’accordo su tale caratterizzazione, la discussione può davvero prendere le pieghe più impensate.
Ma, lo si noti ancora una volta, un approccio di questo tipo non mette in crisi unicamente la filosofia della scienza, bensì la filosofia in quanto tale (senza alcun di che la segua): verrebbe meno, in altre parole, ogni esigenza di indagare la realtà con metodi razionali.
Non è quindi un caso che l’accusa più frequente rivolta a Feyerabend sia quella di irrazionalismo (accusa che del resto il nostro autore non smentiva affatto proclamandosi irrazionalista senza alcuna remora). Se le cose stanno così, tuttavia, occorre pur dire che un filosofo della scienza irrazionalista è una contraddizione vivente. La scienza è attività razionale per eccellenza, e un epistemologo che sostenga posizioni irrazionaliste non è più, per l’appunto, un filosofo della scienza, ma qualcos’altro (un poeta, forse, oppure un cultore di visioni magico-animistiche del mondo). Qualcuno, negando l’irrazionalismo di Feyerabend (e contraddicendo così le sue stesse parole), afferma d’altro canto che le sue posizioni conducono ad un diverso tipo di razionalità (razionalità ‘altra’), al che uno ha il diritto di replicare: «Sì, ma quale?». Un mondo in cui la razionalità feyerabendiana potrebbe aver corso legittimo è quello dei romanzi fantasy che oggi hanno tanto successo, un mondo popolato di maghi dai poteri sovrannaturali, di gnomi, elfi e folletti, di eroi alla perenne ricerca di spade magiche con le quali sconfiggere le forze del male. Nessuno nega che tali romanzi, quando sono ben scritti, costituiscano una lettura estremamente piacevole e rilassante, il che però non impedisce a una persona, la quale sia in grado di distinguere la realtà dalla finzione, di capire che i personaggi del romanzo sono creature del tutto fantastiche. Una volta terminata la lettura si suppone che detta persona sia in grado di ritornare al prosaico mondo di tutti i giorni e, se non lo fa, cominceremo a nutrire dei dubbi circa la sua salute mentale.
Come ho detto all’inizio, i vari negazionismi legati alla pandemia e le posizioni nettamente anti-scientifiche adottate anche da noti esponenti del mondo intellettuale fanno capire che Feyerabend è ancora attuale. Naturalmente ciò che importa oggi è sconfiggere il virus, ma pure una riflessione filosofica può aiutarci a capire come e perché siamo giunti a questo punto.
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