Una vecchia tecnica impiegata in edilizia ci permette di comprendere la portata di una inquietante tendenza che si è andata affermando nell’ultimo quarantennio nella nostra società: la gerontofobia, il disprezzo e persino l’odio nei confronti dell’anziano.
Una volta terminato il tetto della casa, questo veniva allagato, cosicché gli operai, seguendo l’acqua che entrava in casa potevano capire dove c’erano delle crepe non individuabili alla vista e correre così ai ripari. Il COVID-19 è stata una prova di allagamento del nostro welfare e le crepe sono venute fuori.
Una di queste è la mancanza di una strategia di salute territoriale, nonostante il fatto che l’istituzione in Italia nel 1978 del SSN fosse stata basata sulla dimensione locale di prevenzione e cura delle malattie.
Una seconda crepa è l’assenza di un sistema di assistenza domiciliare sanitaria e socio-sanitaria, a favore del modello ospedalocentrico.
Una terza crepa è che le strutture accreditate per anziani e disabili (RSA e Case Protette) non sono connesse con le strutture territoriali e, più in generale, non intrattengono rapporti di cooperazione con gli Enti di Terzo Settore e le altre espressioni della comunità locale. Nel 2016 le RSA erano in Italia 12.500, con 285.000 ricoverati oltre i 65 anni e con una marcata differenza tra regione e regione. L’offerta di posti letto nel Nord è tripla rispetto al Sud ed è doppia rispetto al Centro. Tra 2009 e 2017, l’offerta nazionale delle strutture pubbliche ha visto una riduzione di circa 25.000 posti letto, recuperata per 20.000 posti da strutture private.
Come ormai è ampiamente noto, in Olanda tutti gli ultra-settantenni hanno ricevuto un modulo: firmandolo, essi si impegnavano, qualora colpiti da COVID, a rinunciare al ricovero ospedaliero, per non sottrarre posti a chi avesse più probabilità di loro di guarire. E la cosa seria e preoccupante è che tutti lo hanno firmato! Quanto a significare che nella cultura di base della popolazione olandese è penetrata, come qualcosa di ovvio, quella concezione utilitaristica da cui discende l’accettazione del QALYs (Quality Adjusted Life Years) quale criterio di razionamento nell’allocazione delle risorse per la sanità.
Si tratta di un criterio che nega il significato autentico di giustizia (a ciascuno il suo) e che non riconosce la dignità di ogni uomo in quanto uomo, senza distinzioni tra vite con dignità e vite senza dignità, in base alla capacità di autonomia, produttività, numero di anni da vivere. I criteri di stampo utilitaristico si pongono in contrasto con i diritti umani fondamentali, tra cui il diritto alla tutela della salute. Eppure, questi si vanno estendendo come se si trattasse di communis opinio.
Cosa troviamo alla base della gerontofobia? L’abbandono di fatto, da parte della famiglia, degli anziani ormai incapaci di vivere autonomamente la fase terminale della loro vita, senza un supporto, ancorché limitato. Il ricovero in una RSA diviene allora una scelta obbligata. Donde i due esiti che sono sotto i nostri occhi.
Il primo, quello ordinario, è il rapido crollo psicologico dell’anziano, con le conseguenze deleterie per la sua salute a tutti ben note. Il secondo, quello straordinario, reso palese dal COVID, è la decimazione di un’intera generazione. Questa decimazione, però, non fa che anticipare quello che avverrà tra qualche tempo, quando l’operatore della decimazione non sarà più un virus, ma la stessa orgogliosa (!) volontà degli anziani, sollecitati e psicologicamente indotti a redigere tragiche dichiarazioni di non trattamento. E questo in nome del principio libertario di autodeterminazione.
Il punto che va rimarcato è che se si vuole un welfare decente per gli anziani e per le persone affette da malattie cronico-degenerative, non basta agire solo sui sistemi sanitari, ma pure sulle determinanti sociali della salute che, se prese in carico dalla comunità, aumentano la qualità di vita generale. Occorre agire su habitat, socializzazione, affettività, e sul ‘lavoro’. Si pensi, a quest’ultimo riguardo, alle (pochissime) esperienze e progetti di longevità attiva.
Per attuare riforme che razionalizzino e aggiustino l’esistente bastano saperi tecnici; per una trasformazione radicale di quanto esiste serve una sapienza integra e ispirata. La pandemia da COVID-19 è una grande opportunità per decidersi di trasformare interi pezzi del nostro sistema di welfare. Non cogliere tale opportunità sarebbe un atto di grave mancanza di responsabilità. La quale postula, soprattutto, di caricarsi sulle spalle il ‘peso delle cose’ (res pondus) e non solo astenersi dal commettere reati o inadempienze varie. È la responsabilità come prendersi cura e non tanto la responsabilità come imputabilità che occorre, oggi, richiamare in servizio.
Ha scritto G. Garcia Marquez: «La morte non arriva con la vecchiaia, ma con la solitudine». C’è un’analogia inquietante fra il contagio virale della pandemia e il contagio globale di un individualismo libertario fuori controllo. Eppure, gli esseri umani sono autonomi – il che è cosa altamente buona – non per essere soli, ma per condividere la loro condizione di vita, ampliando le loro capacità relazionali.
Raffaella Gherardi dice
La “volontaria” firma del modulo sulla rinuncia alle cure che li riguardano da parte dei cittadini ultrasettantenni olandesi va molto oltre ogni racconto distopico e immaginaria utopia negativa… Forse si potrebbe perlomeno introdurre l’obbligo da parte di ogni firmatario di leggere preventivamente il ciceroniano “De senectute”? Magari qualche dubbio sulla inutilità della vecchiaia potrebbe venirgli…