Declinare ragionamenti fluidi e trarre conclusioni quanto all’attuale pandemia è diventato un esercizio complicato per tutti, perfino per gli statistici e i sondaggisti, per tutti coloro che negli ultimi 14 mesi hanno sperimentato la precarietà delle loro previsioni.
Nessuno, infatti, è riuscito a dimostrare se il lockdown generale abbia mai risolto il problema dei contagi; nessuno ha chiarito se è meglio trascorrere un paio d’ore al ristorante all’aperto o rimanere chiusi in casa per giorni; nessuno ha definito il rischio del contagio a scuola, a fronte di una vaccinazione prioritariamente estesa al corpo docente e nella consapevolezza che il nuovo coronavirus non abbia certamente prediletto i giovanissimi tra i suoi bersagli; nessuno sa dire se il coprifuoco dalle 22 alle 5 è realmente la coperta che ci mette al riparo.
Dopo un anno e mezzo di conclamata pandemia, regna davvero troppa confusione e i dubbi sembrano sopravanzare le certezze, nonostante il fior fiore degli scienziati italiani e qualificate task force siano stati da subito posizionati al fianco delle cabina di regia del Governo. Tutto ciò non è servito ad attivare un meccanismo di equilibrio sui territori che, al contrario, hanno ragionato in base a criteri talvolta egoistici e soprattutto figli di personali e parziali punti di vista, derivanti dalle visioni più o meno illuminate di questo o quel governatore regionale.
In un clima così nebuloso, il fai da te ha preso il sopravvento su tutto, spesso anche sul senso di responsabilità, con esponenti politici che parlavano da medici e uomini di scienza che litigavano come fossero in una tribuna politica.
Sullo sfondo di possibili altre smentite, poggia l’attuale provvedimento della riapertura dolce, quello che tiene conto dei numeri del bollettino quotidiano, quello che incoraggia alla ripartenza fino a prova contraria e che, forse, può ancora sbagliare tempistiche e previsioni.
A mio avviso di medico e ricercatore è stato un errore gestire l’emergenza sanitaria sulla base della nostra suddivisione regionale. C’è un’unica pandemia, non ci sono 20 modalità di epidemia su base territoriale. Tuttavia, ci sono realtà dove, per cause pure accuratamente indagate ma non sufficientemente considerate dal decisore, il contagio ha assunto forme quantitative e qualitative differenti.
Il caso della Pianura Padana, per esempio, avrebbe meritato osservazioni a parte visto che son decenni, ormai, che si sospettano rischi più accentuati per la salute umana senza mai decidere di intervenire, fino ad attendere e subire gli effetti esiziali di un’aggressione virale catastrofica come questa. Eppure i dati di uno studio osservazionale da noi condotto in Italia e pubblicato lo scorso 13 dicembre 2020 (https://www.mdpi.com/1660-4601/17/24/9318) avevano messo in risalto una possibile associazione fra tassi di incidenza di COVID-19 ed esposizione agli inquinanti ambientali PM2.5 e Biossido d’azoto (NO2).
In particolare, il modello utilizzato nello studio ha evidenziato il legame associativo tra i tassi d’incidenza COVID-19 per provincia e gli inquinanti ambientali PM2.5 e NO2, relazionati ad altri due importanti fattori di confondimento quali l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione. Il dato che è emerso dallo studio è che l’epidemia COVID-19 si caratterizza come fenomeno multifattoriale nel quale gli inquinanti atmosferici possono giocare un ruolo importante: l’effetto combinato degli inquinanti corretto per l’indice di vecchiaia e la densità della popolazione ha, infatti, evidenziato un aumento del tasso di incidenza della COVID-19 pari a 2,79 x 10.000 persone e 1,24 x 10.000 persone all’aumento di un microgrammo per m3 d’aria delle concentrazioni di PM2.5 e NO2, rispettivamente.
Forse è tempo di cambiare l’approccio, di modificare i dispositivi di coordinamento delle competenze, è tempo di sottrarre la Scienza agli indici di ascolto e gradimento e sviluppare un progetto di sintesi interdisciplinare tra medici, ricercatori e scienziati. È tempo di differenziare l’approccio decisionale, tutto sommato mono-specialistico, arricchendolo e irrobustendolo al fine di individuare, attraverso studi analitici allargati, le potenzialità dei fattori di vulnerabilità nell’intento ultimo di mitigare la diffusione della pandemia.
È tempo di invitare coralmente il Governo a svolgere un ruolo di attenta politica a beneficio non solo delle persone ma anche dei territori. L’ipotesi alternativa, come la storia di questi mesi ha dimostrato, potrebbe essere quella di non avere mai riaperture stabili, ma solo false partenze.
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