Prima che parta l’ennesimo tentativo di modificare la nostra forma di governo per le vie previste (ex art. 138 della Costituzione italiana) e probabilmente convinto che tanto ne uscirebbe fuori il solito topolino (niente), Giancarlo Giorgetti ha recentemente proposto una scorciatoia, scommettendo a breve su «un semipresidenzialismo de facto in cui il presidente allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole». L’obiettivo immediato sarebbe quello di rinnovare (o prorogare?) il mandato di Mattarella, oppure (e successivamente?) d’insediare Draghi al Quirinale.
Che sia o meno una manovra per stoppare sul nascere la candidatura di Berlusconi al Quirinale è poco rilevante per la discussione sul ruolo del Presidente della Repubblica e sulla sua trasformazione, sulla «politica debole», in virtù della quale negli ultimi decenni la ‘giacchetta’ dei Presidenti italiani, tirata da questo e quello, è finita per diventare un vistoso tight a falde lunghe. Alcuni Presidenti l’hanno indossato con regale eleganza, dissimulando ma ben consci del loro ruolo accresciuto (Napolitano, Scalfaro), alcuni l’hanno esibito con sfrontatezza, scavalcando talvolta il protocollo (Pertini e Cossiga, sia pure con stili diversissimi), altri infine l’hanno portato con fare timido (Ciampi, Mattarella).
Questo sviluppo ha origini relativamente vicine. Normalmente, nelle democrazie parlamentari, il Capo di Stato (sia un Presidente o un Monarca) svolge tre funzioni: una simbolica, come rappresentante dell’unità nazionale, una di garanzia ovverosia di ‘custode della Costituzione’, e infine una di arbitrato, che lo rende un formateur, con poteri di nomina dei ruoli di governo. Aggiungiamoci, nel caso italiano, il potere di scioglimento delle camere. Dal 1948, finché la politica italiana è stata dominata dalla DC e dal suo sistema di alleanze, queste funzioni sono rimaste latenti (compresa forse la prima), ma quando questo dominio comincia a vacillare verso la fine degli anni ‘70, per l’ascesa dei comunisti e soprattutto per la sfida politica lanciata da Craxi e dai socialisti, ecco che le funzioni si manifestano e contano davvero. In definitiva, da Pertini a seguire i Presidenti della Repubblica si sono trovati sempre più coinvolti nella lotta politica e il loro ruolo è cresciuto in due ambiti: nella formazione e nella conduzione del governo. Procediamo con ordine.
La trasformazione del ruolo del Presidente della Repubblica nell’ambito della formazione del governo si è manifestata palese nel maggio 2018 con il caso Mattarella-Savona. I commentatori si divisero, ma furono in molti a deporre a favore dell’azione di Sergio Mattarella, il quale rifiutò di nominare Paolo Savona a Ministro dell’Economia nel Conte I, per le sue posizioni ritenute antieuropeiste. L’art. 92 della Costituzione italiana («Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri») non lascia per la verità dubbi sul fatto che la lista dei ministri la predispone il Presidente del Consiglio, con l’ovvio avvallo dei partiti di maggioranza, e che la loro nomina è un fatto conseguente a tale proposta. L’art. 92 – letto e non interpretato – non dice che il Presidente della Repubblica può ‘ricusare’ i ministri proposti, né specifica in che modo possa esercitare discrezionalità nelle sue nomine. Mattarella ha certificato una nuova prassi, quella del rifiuto esplicito da parte del Presidente della Repubblica della nomina dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio.
Sappiamo che in passato vi erano stati casi analoghi. Il primo è del 1979, quando Sandro Pertini rifiuta a Cossiga la nomina di C. Darida alla Difesa; nel 1994 Oscar L. Scalfaro rifiuta a Berlusconi la nomina di C. Previti alla Giustizia (ministero poi assunto da A. Biondi); nel 2001 Carlo A. Ciampi rifiuta sempre a Berlusconi la nomina di R. Maroni alla Giustizia (ministero poi assunto da R. Caselli); infine nel 2014 Giorgio Napolitano dissuade Renzi dal nominare N. Gratteri ancora una volta al Ministero di Grazia e Giustizia. Difficile dire se il ricorrere di un conflitto su questo Ministero sia indicatore di qualcosa, certo che il rifiuto di quattro scelte tra i ministri dei 61 governi succedutesi dal 1948 testimonia – almeno fino ad oggi – di un potere molto debolmente applicato. I ministri nei governi italiani sono diminuiti nel corso del tempo a circa venti, compresi quelli senza portafoglio. Se applicassimo il numero fittizio di 20 ministri a ciascuno dei 61 governi italiani otterremmo una stima pari a oltre 1200 nomine, e tralasciamo quelle dei sottosegretari. Quattro casi noti di rifiuto su oltre 1200 nomine testimoniano di un potere in passato non esercitato regolarmente e non riconosciuto. Inoltre, nei casi richiamati, il conflitto è stato risolto e l’opposizione del Presidente della Repubblica ha seguito i canali della dissuasione ‘amichevole’.
Il caso Mattarella-Savona contiene invece una novità: mai prima un Presidente aveva di fatto impedito ad un governo ‘formato’ di presentarsi alla Camera e al Senato per l’investitura. Verrebbe da tranquillizzare il Ministro Giorgetti e rassicurarlo che già siamo entrati nell’era del semipresidenzialismo de facto, cioè in un sistema istituzionale nel quale il governo poggia su due sostegni, quello presidenziale e quello parlamentare, e il venir meno di uno solo dei due è causa sufficiente della sua caduta o mancata formazione.
Questa struttura duale latente del nostro esecutivo è più insidiosa nell’altro ambito, quello della conduzione del governo. La discesa in campo del Presidente della Repubblica comincia con la visita di Pertini ai luoghi del terremoto in Irpinia nel novembre 1980, contro il parere del Presidente del Consiglio Forlani. Pertini scavalca completamente il governo, si presenta in TV e ne denuncia i ritardi e le inefficienze nella gestione dei soccorsi. Nella sostanza, è il primo caso di un Presidente della Repubblica che ‘dimette’ un governo, destinato poi a cadere nel giugno 1981. Il conflitto strisciante tra O.L. Scalfaro e i governi del centro-destra è storia recente. Ancora più recenti sono le spinte di Ciampi e Napolitano a sostegno dei governi tecnici e di centro-sinistra, definiti forse non a torto «governi del presidente». Questi presidenti hanno condizionato la linea politica, usando il potere di revisione costituzionale come un veto implicito sull’azione governativa. In particolare, è noto che i presidenti del Consiglio ‘sotto’ Napolitano si rivolgevano al Presidente e ai suoi uffici per avere un parere preventivo sulla costituzionalità dei loro provvedimenti e sulla disponibilità di «Re Giorgio» a firmarli. Nel corso dei decenni, l’ufficio della Presidenza della Repubblica è cresciuto e si è rafforzato. Il Segretariato generale è costituito da venticinque strutture di livello dirigenziale (otto Uffici, quattordici Servizi, due Unità speciali e l’Archivio storico), alle quali vanno aggiunte la Segreteria particolare del Presidente, la Segreteria particolare del Segretario generale, le strutture di supporto dei Vice Segretari generali e l’Organo centrale di sicurezza, con la non trascurabile presenza di un Reggimento Corazzieri e di altri «professionisti della violenza», che dalla Presidenza Scalfaro in avanti si attestano su circa 800 unità. L’attuale Presidente Mattarella conta su 13 consiglieri specializzati per area di policy e tre consulenti personali. Comparata con la precarietà della posizione dei ministri e del governo nell’arena parlamentare, il Quirinale è una struttura organizzativa stabile, forte, competente, specializzata, professionalizzata e influente che risponde solo al Presidente.
In conclusione, queste trasformazioni del ruolo del Presidente della Repubblica (nell’ambito della formazione e della conduzione del governo) sono davvero dirompenti e sono sedimentate nella pratica politica degli ultimi decenni. Sono trasformazioni de facto che non stanno quasi per nulla nella nostra Costituzione e rischiano di trasformare il nostro parlamentarismo in un sistema ‘misto’ presidenziale-parlamentare, in un semi-presidenzialismo o in un semi-parlamentarismo se si preferisce. Aggiungiamoci che l’ibernazione della politica negli ultimi due anni, per via dello stato d’emergenza protratto, ne ha acuito gli effetti. Sarebbe meglio cominciare a rifletterci su, senza attendere l’endorsement del Ministro Giorgetti.
Lascia un commento