Caro Stato-nazione,
devi essere in condizioni davvero disperate per rivolgerti direttamente a me per iscritto. C’incontriamo tutti i giorni sulle strade del mondo dove tu, povero vecchio, obsoleto e ostinato, arranchi controvento per tornare indietro. Naturalmente, non ci riesci e ti incattivisci, fuori e dentro. Infatti, i problemi, che da solo non risolverai mai, sono tutti al tuo interno e imbeceriscono coloro che vivono dentro i tuoi confini e si armano per difenderli. Ci sono luminose eccezioni di Stati che hanno raggiunto un modus vivendi con me, e io con loro. Sono gli Stati ben governati, nella legittimità, nel consenso, nell’efficienza, nell’assenza di corruzione. Eddai, lo sai, sono tutti i paesi Nordici e tutte le democrazie della diaspora anglosassone. Quando uno di quei paesi come – spiace dirlo – la Gran Bretagna fa le bizze e fa la Brexit, neanche ci riesce, manifestando tutti i vizi degli Stati-nazione che pensano di vivere meglio recuperando la sovranità, ed entrano in contraddizioni irrisolvibili e costose. Quell’altro ipersovranista di Trump continuerà a dire, spero per poco, America First, ma è costretto a trovarsi amici, come Vladimir Putin, piuttosto deplorevoli (sono sicuro che apprezzi il mio elegante understatement) e a fare le guerre, quella del commercio essendo la più stupida, conseguenza ineluttabile del vostro sovranismo.
Io, Globalizzazione, vi ho offerto straordinarie opportunità, non solo economiche, che certo solo quelli fra voi con i conti in ordine e burocrazie preparate, sono riusciti a cogliere appieno, ma anche di comunicazione e di cultura. Grazie alla comunicazione ho messo in crisi non pochi autoritarismi, ma se non vi date da fare con la cultura neanche quando affermerete il vostro sovranismo riuscirete a migliorare la vostra situazione. Diventerete sovranisti isolati per una generazione e poi sarete preda di volta in volta dei vostri vicini potenti. La definizione della trappola in cui cadrete cercatela nel passato da dove venite e finirete per tornare: Stati-cuscinetto oppure satelliti. Non mi stupisco neppure più delle vostre stupide reazioni a quello che il mio vento impetuoso e liberatorio ha portato. Sei stato costretto a notarlo anche tu: centinaia di milioni di persone uscite dalla povertà, centinaia di milioni di persone consapevoli che si può migliorare la loro vita e quella dei loro figli. Non sempre i cosiddetti perdenti della globalizzazione se lo meritano, ma perdenti sarebbero anche se voi, Stati-nazione, vi foste difesi prima senza cercare miglioramenti nel governo e nell’economia, senza promuovere la partecipazione politica e la coesione sociale.
Eravate scassati ieri, lo siete oggi e vi rifugiate nel populismo che mai e poi mai ha prodotto qualcosa di positivo e di duraturo (Venezuela, de te fabula narratur). Più o meno inconsapevolmente anche i vostri cittadini trattati come sudditi (e le cittadine asservite e violentate) stanno prendendo atto che la vostra resistenza è costosa e non sarà vittoriosa. Perché non venite, debitamente preparati, a discutere con me su come organizzare il mondo, a partire dall’Europa. Ci sarà sempre posto per le identità – di lingua, di cultura, di religione –, e per la competizione. Nella globalizzazione democratica le identità saranno rispettate e potranno esprimersi molto meglio che nei vostri luoghi di Stati-nazione che mettono tutto nel calderone del popolo e, inevitabilmente, chiamano nemici del popolo coloro che non accettano quel calderone e le commistioni che puzzano di oppressione.
Potrei chiudere questa mia lettera con un sacco bello di citazioni colte, di libri da leggere, di personalità da apprezzare e da onorare. Purtroppo dubito che vi servirebbe poiché nulla di tutto quello che vi raccomanderei conoscete. Forse a casa vostra non c’è neppure un dizionario (ma sapreste usarlo?). Farete ricorso a Wikipedia che, naturalmente, è uno dei (sotto)-prodotti della mia azione globalizzante. Peggio: aumentereste il vostro impegno nella diffusione delle fake news. Ah, caro Orwell, quanto preveggente fu la tua invenzione della neo-lingua, ma – parola di globalizzazione – nessuna neo-lingua vi salverà. Dovrete tutti imparare l’inglese (e molto meglio lo imparerete se conoscete la vostra lingua materna), e leggere Shakespeare (e Philip Roth). Auguri.
Yours,
Globalization
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