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Democrazia rappresentativa e democrazia diretta: un rapporto da migliorare, ma non da stravolgere

18 Ottobre 2018 di Stefano Ceccanti Lascia un commento

Si è aperto un dibattito importante su quella che potrebbe essere la prima riforma costituzionale della legislatura, quella relativa all’istituzione del referendum propositivo. È probabile, infatti, che la maggioranza voglia procedere a partire dal proprio progetto di legge, l’Atto Camera 1173.

Il tema non è affatto un tabù, tant’è che il principio era presente anche nella riforma costituzionale bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016 e tant’è che io stesso, prima della maggioranza, avevo presentato una proposta analoga, l’Atto Camera 726.

Potete trovare tutti i dettagli nell’apposito dossier dei servizi studi di Camera e Senato a questo link.

Tuttavia, come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli e, pur a partire da un’analoga finalità, le due proposte si presentano al momento chiaramente alternative e non componibili per tre differenze di fondo.

 La prima è la scelta tra una soluzione equilibrata di un quorum fissato alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche e quella drastica della totale eliminazione del quorum. Come ben sappiamo, è spesso facile individuare sin da subito qualche ristretta minoranza che a torto o a ragione beneficerebbe di alcuni interventi ed è invece arduo capire chi ne sarebbe danneggiato. L’assenza di quorum favorirebbe minoranze intense, molto meno rappresentative delle maggioranze parlamentari.

La seconda è se si vogliono sottoporre al voto dei principi, dopo l’approvazione dei quali il Parlamento possa ben misurare i dettagli, o scelte per intero compiute che saltino il Parlamento, che potrebbe solo controproporre un suo testo.

La terza è se immaginiamo forme di limitazione seria per le leggi di spesa o invece limiti scarsamente consistenti come quello di introdurre entrate compensative per le maggiori sospese o minori entrate, che non evitano sconvolgimenti sulle principali scelte di bilancio.

L’insieme delle tre differenze altera sensibilmente l’equilibrio costituzionale: si tratta della differenza tra una democrazia che resta rappresentativa e che inserisce un nuovo correttivo o, all’opposto, di una democrazia sostanzialmente diretta, facilmente esposta a derive populiste e demagogiche. È auspicabile che la maggioranza rifletta, tenendo anche conto delle incisive critiche tecniche degli Uffici Studi di Camera e Senato nel dossier citato.

Se a ciò, peraltro, si aggiunge il pericoloso emendamento approvato in Aula alla Camera alla leggina Nesci (1) che aggiorna alcune caratteristiche della legislazione elettorale di contorno e che trasforma la raccolta di firme per i referendum in una facilissima autocertificazione si capisce ancora di più come l’equilibrio corra il rischio di essere gravemente snaturato.

 

(1) Il ddl al Senato ha preso il numero 859. L’integrale si legge qui.
Il testo dell’emendamento approvato dopo il comma 1 è il seguente:
«1–bis. Ad eseguire le autenticazioni di cui alla legge 25 maggio 1970, n. 352, sono competenti altresì i cittadini designati dai promotori del referendum tra coloro che siano in possesso dei requisiti previsti per lo svolgimento delle funzioni di presidente di seggio elettorale di cui all’articolo 35, ottavo comma, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e che non incorrano nei casi di esclusione di cui all’articolo 38, lettera f-bis), del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957. A tal fine almeno tre promotori comunicano alla Corte di appello competente per territorio, con le modalità di cui all’articolo 65 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’elenco dei soggetti designati, corredato delle dichiarazioni sostitutive sul possesso dei requisiti di cui al primo periodo del presente comma, rese ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».

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