Si è aperto un dibattito importante su quella che potrebbe essere la prima riforma costituzionale della legislatura, quella relativa all’istituzione del referendum propositivo. È probabile, infatti, che la maggioranza voglia procedere a partire dal proprio progetto di legge, l’Atto Camera 1173.
Il tema non è affatto un tabù, tant’è che il principio era presente anche nella riforma costituzionale bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016 e tant’è che io stesso, prima della maggioranza, avevo presentato una proposta analoga, l’Atto Camera 726.
Potete trovare tutti i dettagli nell’apposito dossier dei servizi studi di Camera e Senato a questo link.
Tuttavia, come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli e, pur a partire da un’analoga finalità, le due proposte si presentano al momento chiaramente alternative e non componibili per tre differenze di fondo.
La prima è la scelta tra una soluzione equilibrata di un quorum fissato alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche e quella drastica della totale eliminazione del quorum. Come ben sappiamo, è spesso facile individuare sin da subito qualche ristretta minoranza che a torto o a ragione beneficerebbe di alcuni interventi ed è invece arduo capire chi ne sarebbe danneggiato. L’assenza di quorum favorirebbe minoranze intense, molto meno rappresentative delle maggioranze parlamentari.
La seconda è se si vogliono sottoporre al voto dei principi, dopo l’approvazione dei quali il Parlamento possa ben misurare i dettagli, o scelte per intero compiute che saltino il Parlamento, che potrebbe solo controproporre un suo testo.
La terza è se immaginiamo forme di limitazione seria per le leggi di spesa o invece limiti scarsamente consistenti come quello di introdurre entrate compensative per le maggiori sospese o minori entrate, che non evitano sconvolgimenti sulle principali scelte di bilancio.
L’insieme delle tre differenze altera sensibilmente l’equilibrio costituzionale: si tratta della differenza tra una democrazia che resta rappresentativa e che inserisce un nuovo correttivo o, all’opposto, di una democrazia sostanzialmente diretta, facilmente esposta a derive populiste e demagogiche. È auspicabile che la maggioranza rifletta, tenendo anche conto delle incisive critiche tecniche degli Uffici Studi di Camera e Senato nel dossier citato.
Se a ciò, peraltro, si aggiunge il pericoloso emendamento approvato in Aula alla Camera alla leggina Nesci (1) che aggiorna alcune caratteristiche della legislazione elettorale di contorno e che trasforma la raccolta di firme per i referendum in una facilissima autocertificazione si capisce ancora di più come l’equilibrio corra il rischio di essere gravemente snaturato.
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