Sotto il profilo del sistema delle fonti, una delle prime e più rilevanti attività del governo nel 2019 è aver avviato una gigantesca iniziativa per la «semplificazione» attraverso l’esercizio di una delega legislativa ‘omnibus’.
Inizialmente, su proposta del Presidente Conte e del Ministro per la pubblica amministrazione Bongiorno, il Consiglio dei ministri ha approvato, nel dicembre, un unico disegno di legge di delega per la semplificazione. Successivamente, alla fine di febbraio, su proposta del Presidente Conte il disegno Omnibus è stato superato da dieci testi separati per materia, riproduttivi e ampliativi del precedente disegno unico.
Se l’iniziativa dovesse andare in porto, l’impressione è che verrà messa una pietra tombale alla parola semplificazione.
Da un lato, infatti, si reitera la perniciosa tendenza, in voga da almeno un decennio, a complicare per semplificare: nel nome della semplificazione si crea una Commissione permanente per assicurarne le misure attuative, che si affianca all’Unità per la semplificazione, che si aggiunge alle già esistenti burocrazie della semplificazione, senza trascurare l’istituzione del Comitato interministeriale per il coordinamento delle attività di semplificazione e la immancabile Cabina di regia per la semplificazione. D’altro lato, e più gravemente, la semplificazione diventerà il cavallo di Troia per esautorare il Parlamento dalla sua funzione esclusiva di legislatore.
L’elenco delle materie su cui si dovrebbe esercitare la delega è talmente enorme, per quantità e profondità delle materie, da far quasi impallidire l’elenco delle materie legislative che la Costituzione affida allo Stato.
Data anche la genericità dei criteri e dei principi direttivi, col mandato a semplificare e riordinare passeranno la revisione e il riassetto di pezzi del codice civile, della giustizia amministrativa, dell’ordinamento militare, sviluppo economico e attività economiche, energia, ambiente, contratti pubblici, codice della strada, giustizia e sistema tributari, sistema contabile dello Stato, tutela della salute e tanto altro ancora. Per fare solo due esempi più concreti, sotto il titolo delle attività economiche e dello sviluppo economico stanno l’artigianato, il commercio, la concorrenza, le comunicazioni, la produzione industriale, pesi e misure, interventi fiscali e finanziari sulle imprese, formazione professionale, cooperative. Sotto energia e fonti rinnovabili, ci sono politica e strategia energetica nazionale, energia elettrica, gas, prodotti da oli minerali e petroliferi, riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, rinnovabili, mercato dell’energia e borsa elettrica, risparmio energetico, persino autorità di regolazione, prezzi e tariffe sul mercato retail.
Che sia spacchettata in più disegni o presentata in un unico testo, quella prevista dal governo è a tutti gli effetti una delega su ambiti vastissimi della normazione che rappresenta probabilmente un caso per ora unico di possibile integrale passaggio della funzione legislativa dal Parlamento al Governo, complici anche principi e criteri direttivi, almeno per ora, molto vaghi. Possibile che questi debbano ancora essere scritti, possibile il Parlamento abbia un sussulto di dignità, probabile che il Quirinale continuerà ad esercitare la sua autorevolezza. Possibile, infine, che la delega – se rimarrà nei termini in cui è – sia ritenuta incostituzionale. Quello che però è certo oggi, è il tentativo nemmeno troppo nascosto, e anzi mal camuffato dalla trasposizione delle deleghe da un unico a plurimi testi, di trasferire la competenza legislativa al governo, dietro la benigna ma ormai vuota parola «semplificazione».
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