Si è più volte segnalata la difficoltà, da parte delle donne, di un approccio alla politica che sia coerente con l’attuazione piena della democrazia e, quindi, con l’effettiva realizzazione di quell’eguaglianza di genere che, pure, è solennemente proclamata nelle legislazioni nazionali e internazionali. Il femminismo, fin dalle sue origini, ha generato un’immensa speranza di cambiamento, a partire dalla denuncia delle regole politiche patriarcali e delle promesse tradite della democrazia rappresentativa, e tuttavia, se il punto di partenza è stato l’esclusione delle donne dal potere, l’obiettivo finale non ha riguardato semplicemente la loro inclusione nella sfera pubblica.
Oggi che sembra disegnarsi, nel nostro paese, la mappa di un nuovo potere femminile – v. la crescita del numero di ministre, di deputate e di senatrici, oltre che delle manager nominate ai vertici di importanti società – occorrerebbe chiedersi se tale mappa documenti una vera svolta e rappresenti una risposta efficace al gender gap. Si è più volte segnalato il rischio di un’omologazione strisciante rispetto a chi ha detenuto il potere per secoli, assorbendo quindi i difetti dei vertici tradizionali o uniformandosi alla preesistente classe dirigente, anziché rompere gli schemi organizzativi, cambiare il linguaggio, introdurre un’identità e un’energia proprie. È il paradosso di un potere maschile che si rigenera grazie al cambio di genere… Ma occorre ricordare anche il rischio di una polarizzazione che vede, da un lato, nella fascia alta, donne che conquistano posizioni apicali tradizionalmente maschili e, nella fascia media, un complessivo peggioramento delle condizioni della vita quotidiana, a partire proprio da quei diritti che sembravano acquisiti, dai congedi per maternità alla parità salariale. Insomma, uomini e donne sembrano vivere ancora in mondi diversi l’accesso ai quali è mediato da ben diverse opportunità.
Sono problemi al centro della riflessione di Joan Tronto, in Caring Democracy. Markest, Equality and Justice. Vi si postula la stretta relazione tra democrazia, mercato e cura. L’analisi delle diverse fasi in cui si articola la pratica di cura richiama quattro elementi fondamentali dal punto di vista morale: l’attenzione, la responsabilità (qui la Tronto rinvia alla lezione di Simone Weil e di Hannah Arendt), la competenza e la responsività. Nella lettura proposta dalla studiosa americana, il Caring implica conflitto e messa in discussione delle posizioni di potere e può pertanto essere visto come la chiave per la piena realizzazione della democrazia: il prerequisito per votare, associarsi, stringere rapporti. Ma, per poter ottenere l’eguaglianza sostanziale e la democrazia, occorre soprattutto ‘formare’ i cittadini alla libertà e all’autonomia e creare reti tra tutti gli attori sociali nei loro diversi ruoli.
Quanto agli aspetti problematici della cura, si è più volte rilevato il rischio del paternalismo – a causa della posizione asimmetrica di chi dà e di chi riceve cura – e del particolarismo, oltre al più generale problema della diseguaglianza legato all’associazione delle pratiche di cura alle donne e ai soggetti più marginali. La cura resta ancora lontana dalla politica ‘alta’ e dalle analisi sociali, nonostante che le questioni legate alla democrazia e quelle legate alla cura siano profondamente intrecciate e possano essere affrontate solo attraverso la comprensione della democrazia in termini di cura e della cura in termini di democrazia. Partendo dalla definizione di cura e dall’idea di democrazia sembra possibile, per Tronto, configurare una ‘democrazia secondo la cura’ in cui governare significhi fondamentalmente distribuire le responsabilità dei rapporti di cura tra tutti gli attori sociali dotati di differenti capacità e abilità perché si operi un cambiamento delle stesse dimensioni dell’eguaglianza, della libertà e della solidarietà, a partire da una riconquistata fiducia.
Elevare l’etica della cura a ideale politico potrebbe rimodellare significativamente le pratiche della cittadinanza democratica. La visione antropologica su cui si fonda una Caring Democracy è infatti quella di soggetti che lavorano in relazione con altri e la cui autonomia emerge attraverso un processo complesso di crescita e di sviluppo che prevede la consapevolezza della reciproca interdipendenza e il riconoscimento della comune vulnerabilità, da intendersi come una condizione strutturale della vita umana che ne sottolinea la fragilità e quindi il bisogno condiviso e reciproco di cura. Si potrebbe affermare che se la cura ha bisogno della democrazia, per evitare ogni deriva paternalistica o particolaristica, la democrazia, a sua volta, per trattare ogni persona con eguale considerazione e rispetto, ha bisogno della cura: da qui la possibilità di creare uno spazio morale e politico in cui elaborare una cultura civile della responsabilità.
Lascia un commento