Quasi tutte le generazioni pensano di vivere tempi straordinari. Per la generazione uscita dal trauma della Seconda guerra mondiale, furono gli anni della ricostruzione postbellica. Per i loro figli, furono forse gli anni delle contestazioni giovanili, con la conseguente riconfigurazione dell’economia globale. Per la mia generazione, fu il triennio 1989-1991 e la fine della Guerra fredda, dopo che le immagini dei tedeschi dell’est intenti a ridurre in pezzi il Muro di Berlino brillarono sugli schermi televisivi, ormai trent’anni fa. Nel giro di poco, vestendo i panni degli studiosi in erba, con alcuni amici iniziammo ad ironizzare sull’incipit di quasi tutti gli scritti politici del tempo, anche del più insignificante: ‘Dopo la caduta del Muro di Berlino, …’ eppure, la consapevolezza che la storia fosse giunta a un termine ci accompagnò a lungo.
Questa consapevolezza era nell’aria da tempo, ma il suo significato ci fu chiaro solo parecchi anni dopo. Nell’estate del rivoluzionario ’89, Francis Fukuyama aveva scritto The end of history? un breve saggio nel quale affermava che, osservando il flusso degli eventi negli ultimi dieci anni, era difficile evitare la sensazione che qualcosa di molto importante fosse accaduto nella storia del mondo. Era il trionfo dell’Occidente, un dato evidente anzitutto nell’esaurimento totale delle alternative praticabili al liberalismo occidentale. La violenta repressione del 4 giugno in piazza Tienanmen, prima dell’estate, ci aveva però colpiti molto più di quanto sarebbe poi accaduto a novembre con la caduta del Muro. Fu per me e alcuni amici una lezione politica che, in un certo senso, ci tenne con un piede impigliato nella storia. Presto ci fu chiaro che Fukuyama aveva ragione ma solo sull’esaurimento delle alternative riformatrici interne al liberalismo occidentale. L’Occidente avrebbe presto iniziato a dubitare di sé stesso e dello stesso valore del suo rivoluzionario trionfo.
Non sappiamo quali eventi straordinari penserà di vivere la generazione delle mie figlie. Tienanmen era una storia in controtendenza rispetto a quella mondiale del trionfo dell’Occidente. Le proteste in corso in questi giorni ad Hong Kong, diverse da quelle di Barcellona o Londra, per non parlare delle rivolte a Quito, Beirut, Bagdad o Santiago, rivelano una continua, complessa, ma indeterminata ricerca di identità politiche e difesa di interessi economici. Pare evidente che il flusso di eventi almeno negli ultimi due decenni segni un dirompente ritorno della storia, ma si tratta di un flusso che procede a singhiozzi e in direzioni molto diverse. Come ha concluso Jennifer Welsh nel suo The return of history (2016), la nuova generazione dovrà rileggere la nostra storia recente e imparare qualcosa su come le nostre società hanno affrontato le sfide globali e interne ‘… dopo la caduta del Muro di Berlino’.
[NdR questi temi sono stati approfonditi dall’autore in un recente saggio uscito su «Paradoxa» 3, 2019, Democrazie fake, a cura di Gianfranco Pasquino]
franco chiarenza dice
Perfettamente d’accordo.