Non si comprende ciò che sta accadendo in Italia se non lo si osserva mantenendo una sufficiente distanza e non lo si pensa come parte di un disegno di lungo periodo. Ma tutto si consuma e si dimentica troppo in fretta in questa nostra epoca, e chi ambisce a mantenere il potere o ad acquisirne di più lo sa bene, aggrava la situazione e ne approfitta. Basti solo osservare con quanta facilità in brevissimo tempo sono stati erosi i diritti sociali e si è insinuato il pericoloso modello statunitense, e con quanta indifferenza si danno per assunte le autonomie differenziate che di fatto sanciscono disuguaglianze fra i cittadini e tradiscono l’unità nazionale, principi cardine della nostra Costituzione. Una triste annotazione: la Carta costituzionale e le nostre istituzioni saldamente repubblicane e democratiche, che derivano da un dialogo aperto e franco fra persone con ideali molto diversi accomunate dall’amore per il bene comune, hanno da sempre rappresentato il più grande ostacolo a chi ha brama di dominio. La P2, il tentativo di Bicamerale, la riforma Berlusconi del 2006, quella Renzi-Boschi del 2016, l’idea di riforma in senso presidenziale della destra appena assurta ai fasti del potere e tutti i fendenti tirati ai fianchi della Costituzione nel corso degli anni, non ultima la riforma firmata M5s che ha quasi dimezzato il numero di parlamentari, se lette insieme portano al punto in cui siamo ora: finalmente una parte è vicina alla maggioranza dei due terzi e, con l’appoggio già garantito da Renzi – che grazie a un voltafaccia dell’ultimo momento di Calenda ha rappresentanti in Parlamento e che, essendo l’ago della bilancia, avrà molta voce in capitolo – cambierà la Costituzione, e le nostre istituzioni saranno molto più agevoli da dirigere da pochi che domineranno per conto di chi ha in mano le redini del mondo.
Ben inteso, Renzi avrebbe appoggiato qualunque parte avesse avuto in mente un tale disegno. A lui importa e ha sempre importato ben poco la distinzione destra e sinistra perché risponde a tutt’altre logiche che con il bene comune, purtroppo, non hanno alcuna attinenza. Se qualcuno non avesse avuto ancora modo di comprenderlo fino in fondo, lo ha spiegato chiaramente già nel 2014, in uno scritto che accompagna la nuova edizione di Destra e sinistra di Norberto Bobbio uscita in occasione del ventennale del saggio, grazie a una spregiudicata operazione dell’editore Donzelli al quale, non so con quale cuore e secondo quale astrusa – e nei fatti tragica – strategia, Massimo Luigi Salvadori ha dato l’avallo.
Passare ancora una volta per il referendum sarebbe stato rischioso: già due volte, infatti, inaspettatamente oltre il 60% degli italiani ha dimostrato un’acutezza che nessuno immaginava avesse e ha detto no sia a coloro che erano comodamente seduti nella parte destra dell’emiciclo sia a coloro che erano altrettanto comodamente seduti nella parte sinistra. I cittadini hanno dimostrato di comprendere l’importanza di conservare ciò che rappresenta, ormai, l’unico baluardo della nostra libertà e della nostra residua autonomia, e dunque l’oligarchia che tutto ha in mano e che concede il voto solo quando c’è quasi la certezza che tutto andrà come pianificato, ha deciso di evitare ulteriori rischi. In questa prospettiva, non è certo un caso che il Rosatellum sia stato pensato subito dopo la debacle di Renzi del dicembre 2016.
È evidente che si sarebbero potute scrivere innumerevoli leggi elettorali meno pasticciate e molto più in linea con il nostro assetto istituzionale, se non che Ettore Rosato, politico di stretta osservanza renziana, ha tirato fuori dal cilindro la proposta che a futura memoria ha preso il suo nome. Dopo varie vicissitudini, ha incassato l’approvazione alla fine del 2017, durante l’insipido governo presieduto dal conte Gentiloni, in piedi solo per terminare ciò che Renzi aveva iniziato. A votarla sono stati il renzianissimo Partito Democratico, Forza Italia, Lega Nord, Alternativa Popolare, Alleanza Liberalpopolare-Autonomie e altre piccole formazioni, di fatto tutti i partiti legati fra loro da una visione liberista dell’economia che, quindi, aspirano di sciogliere i lacci che una autorevole repubblica propriamente detta deve necessariamente poter imporre a chiunque rappresenti pericoli per la giustizia e la libertà repubblicane.
Il Rosatellum bis in poco tempo è stato criticato da quasi tutti e dieci mesi prima del referendum del 17 luglio 2020, fra i 29 punti del programma del governo giallo-rosso che i quotidiani hanno pubblicato, al punto 10 si legge: «È necessario inserire, nel primo calendario utile della Camera dei deputati, la riduzione del numero dei parlamentari, avviando contestualmente un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica, assicurando il pluralismo politico e territoriale. In particolare, occorre avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale» (punto già presente nel Contratto per il governo del cambiamento del 18 maggio 2018 sottoscritto da Lega e M5s). Il sì ha prevalso ma nessuno ha provveduto a «incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica»: come è fin troppo noto, in Italia quando una cosa è persa, è persa per sempre.
Tutti, dunque, sapevano perfettamente come funziona e che il Rosatellum bis avrebbe premiato le alleanze. Eppure nessuno ha fatto in modo che la destra estrema (la stessa che durante la cosiddetta Prima Repubblica era fuori dall’arco costituzionale e tale è rimasta) avesse un avversario almeno credibile. Come avviene da tanto tempo, i parlamentari che siedono nelle poltrone di sinistra hanno deciso tenendo conto di interessi e convenienze personali o di parte o di chissà cos’altro anziché del bene della Repubblica democratica e hanno giocato una partita così evidentemente truccata da aver disgustato un numero altissimo di elettori (ha votato il 63,91% degli aventi diritto, 9 punti in meno rispetto alla precedente tornata elettorale del 2018). Hanno così consegnato l’Italia a chi in campagna elettorale additavano come il male assoluto. A pensar male, pare quasi che il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica sostanzialmente sia stato la fine dell’arco costituzionale e il progressivo discostarsi, in tempi e modi diversi, di tutti i partiti dall’alveo della Costituzione repubblicana.
E ora, oltre il danno, la beffa: siamo costretti ad assistere ai peana che gli stessi teorici del male assoluto o i loro fidi portaborse sciorinano per Giorgia Meloni che in un batter di ciglia è diventata donna di governo, moderata, atlantista, europeista. Nessuno si occupa delle sue idee e del suo programma, e quando qualcuno si azzarda ad accennare a quelli, viene tacitato da illustri giornalisti e tecnici di fama internazionale. Addirittura si scomodano senatori a vita sorridenti e beati che elargiscono consigli via etere, e avvertono che il successo di Meloni sarà il successo delle donne mentre il suo fallimento riporterebbe la causa femminile «indietro di vent’anni». C’è chi già la sogna parte del partito Popolare europeo e chi a braccetto con Sanna Marin.
Come se non bastassero le tragedie che in questi anni e in questi giorni ci stanno flagellando, fra stelle filanti e cotillon l’Italia si appresta a perdere tutto quello che le è rimasto e da cui sarebbe potuta rinascere.
Dino Cofrancesco dice
“La P2, il tentativo di Bicamerale, la riforma Berlusconi del 2006, quella Renzi-Boschi del 2016, l’idea di riforma in senso presidenziale della destra appena assurta ai fasti del potere e tutti i fendenti tirati ai fianchi della Costituzione nel corso degli anni..”
Si dice a Napoli: vulimme pazzià?
Gianfranco Pasquino dice
A me piacciono questi commenti impregnati di nostalgia di un tempo che mai fu, di repubblicanesimo democratico immaginario e inimmaginabile in un’Italia che ha perso qualsiasi traccia di culture politiche e che, inevitabilmente, ripesca nel passato che fu e fu miserabile e nel presente di paesi e partiti ai quali non dovremmo guardare mai. Poi “la domanda sorge spontanea”: oltre il doloroso e addolorato lamento cosa c’è, cosa cerchiamo? La mia risposta è: “Europa, Europa”, intesa come valori democratici e impegno a continuare nel rispetto e nell’elaborazione.
MARCO TARCHI dice
E questa sarebbe un’analisi? Per invettive e comizi ci sono già Facebook e vari altri social media. Che tristezza!