Durante la guerra fredda, il concetto di Continuity of Government (COG) indicava un complesso di procedure volte a garantire l’azione di governo in un contesto di emergenza. A quel tempo, lo scenario al quale si pensava era quello di una guerra atomica, ma si tratta di una categoria interpretativa che sembra funzionare anche nell’attuale emergenza sanitaria.
La tendenza prevalente nel momento attuale è quella a sostenere i governi, in quanto soggetti che hanno la responsabilità principale di fornire una risposta immediata all’emergenza. Ad essere compressa non è solo la tradizionale dialettica tra forze di governo e forze di opposizione, ma anche l’equilibrio istituzionale tra governo e parlamento.
Naturalmente, il fenomeno assume tratti diversi da paese a paese, con casi limite come quello ungherese, dove la pandemia è stata l’occasione per uno smantellamento dei presidi di libertà e pluralismo. L’emergenza sembra comunque premiare chi è al governo. Lo si è visto, caso emblematico, in Germania, dove Angela Merkel, secondo diversi osservatori sul viale del tramonto, ha colto l’occasione per rilanciare la propria guida nel partito e nel governo.
Il nesso che la crisi mette in evidenza è però, al di là delle momentanee concessioni di fiducia, quello tra popolo e leader, al netto di tutto il discorso su derive populiste et similia. Avvalorando, in questo, la tesi secondo cui ci si trova davanti a una crisi dell’ordine liberale internazionale e della globalizzazione, in questo momento si vede come ogni popolo, al di là dell’immediato grido di aiuto rivolto al potere, si muove secondo scale di valori e aspettative diverse.
Le differenze maggiori si evidenziano nelle aspettative circa il ruolo che lo Stato dovrebbe svolgere in questa fase di emergenza e anche dopo. L’Italia si è trovata unita nella richiesta di «più Stato», di un dirigismo capace non solo di superare l’immediato ma anche di ridefinire, con buona pace delle illusioni liberali, strategie di lungo periodo.
Questo differenzia il caso italiano, ad esempio, da quello americano, dove la richiesta di aiuto formulata dalla cittadinanza al governo federale non indica (almeno non allo stato attuale) un ripensamento di una società ancora basata sull’iniziativa privata.
Nell’attuale situazione, i leader politici tendono a muoversi in sintonia con gli orientamenti di fondo dei loro popoli, definendo politiche e strategie in linea con un sentire collettivo che va oltre le diversità di orientamento politico e classe sociale.
Ne scaturisce una ‘rinazionalizzazione’ della leadership, sia perché nell’immediato vi è la tendenza dei decisori politici a mostrarsi sintonici rispetto al sentimento collettivo, sia perché il consenso nel momento dell’emergenza passa anche per un rigetto, più o meno esplicito, del discorso sovranazionale.
Tutto questo pone una forte ipoteca sul futuro perché rende i governi più distanti tra loro e più vincolati all’interesse nazionale. Questo vuol dire che sarà più difficile pensare, all’interno delle cornici sovranazionali esistenti (il riferimento è ovviamente all’UE ma non solo), soluzioni di ampio respiro e di lungo periodo. A parziale correzione di questa affermazione bisogna ricordare che nella definizione di ‘leader’ vi è anche la capacità di leggere e prendere decisioni che vanno oltre il momento e le circostanze contingenti.
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