Negli ultimi nove anni, in quattro o cinque occasioni, il difficile rapporto tra UE e Ungheria in merito al rispetto dello stato di diritto si era mosso lungo linee di scarsa efficacia sanzionatoria. Inefficacia di fatto, perché si intendeva sanzionare atti specifici i cui effetti si erano già manifestati e, dati i tempi presi per procedere al tentativo di farli rientrare, il rientro non era più possibile.
Questa volta, la sanzione avrebbe potuto avere efficacia consistendo in mancati finanziamenti futuri. Polonia e Ungheria, questa volta alleatesi esplicitamente per coprirsi dal rischio di ricevere sanzioni irrogate all’unanimità dai 26, stavano rischiando di perdere qualche decina di miliardi ciascuno di futuri contributi dal nuovo bilancio europeo e dal Next Generation Eu.
In realtà, alla fine il Consiglio Europeo non ha avuto il coraggio di andare a vedere le carte di Orban (primo ministro Ungheria) e Morawiecki (primo ministro Polonia), accettando qualche ritardo per attivare una procedura di collaborazione rafforzata a 25, e il bluff è rimasto coperto. Troppo importante era la posta in gioco. La UE stava mettendo a rischio l’avvio del bilancio settennale e del piano a esso collegato l’NGEU, in piena seconda fase di pandemia.
Angela Merkel, alla fine del semestre di presidenza UE tedesco (il prossimo sarà il primo semestre 2034! Ci sarebbe da chiedersi se un periodo di presidenza uguale per tutti gli Stati Membri abbia un senso!) e al termine della propria vita politica, non poteva fallire nel completamento della svolta di lungo periodo che ha impresso alla UE.
Solo un anno fa qualsiasi proposta di eurobond non era nemmeno presa in considerazione dalla Germania; nel prossimo settennio, oltre all’impegno congiunto che garantisce l’emissione di debito europeo al fine di finanziare l’NGEU, la stessa Germania ha sottoscritto un accordo per il quale nella redistribuzione di fondi per sussidi ai paesi membri è contributore netto per circa 80 miliardi su 360 complessivi, e dei 390 costituiti da prestiti non prenderà alcunché perché paga interessi minori, se va essa stessa direttamente a raccogliere fondi sul mercato. Di qui la necessità di non mettere a repentaglio questo investimento politico da parte di Angela Merkel.
La lettura delle conclusioni unanimi del Consiglio Europeo del 10-11 dicembre, a prima vista, può suggerire che si stia parlando di altro. Nelle premesse che introducono al compromesso si afferma che «l’obiettivo della Regolamentazione di un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione è di proteggere la sua solidità nella gestione finanziaria, inclusa quella dell’NGEU. Protezione da qualsiasi tipo di frode, corruzione e conflitto di interesse».
Ovviamente, «l’applicazione sarà imparziale, non discriminatoria, equa…» e le linee guida che la Commissione produrrà per tale applicazione, prima che entrino in funzione, potranno essere sottoposte al giudizio della Corte di Giustizia Europea.
Ciò che colpisce un lettore estemporaneo, come il sottoscritto, è il riferimento molto frequente alla salvaguardia finanziaria del Bilancio dell’Unione e del correlato piano NGEU. Ciò che chiamiamo stato di diritto, riferendoci genericamente ai principi della democrazia liberale, trova molto minori riferimenti, mai espliciti, nelle conclusioni unanimi. Comunque, è chiaro che controllo dei media e della giustizia sono assetti istituzionali che facilitano frodi, ruberie e conflitti d’interesse, ma non necessariamente lo sono.
Mi domando se sia solo accidentale la tempestiva pubblicazione dell’inchiesta de «Il Sole 24 Ore» del 12 dicembre scorso dal titolo Orban, gli affari degli amici e della famiglia con i fondi UE.
Difficile dire quale parte abbia giocato in modo sottile l’altra. Ciò che è sicuro è che, visti i tempi di un eventuale giudizio della Corte di Giustizia Europea e delle procedure per l’eventuale blocco dei sussidi e finanziamenti europei, Orban, come è stato osservato, potrà affrontare con una qualche tranquillità le elezioni in Ungheria nel 2022.
Ma, soprattutto, nell’arco della durata del prossimo bilancio settennale e dell’NGEU, il quadro politico europeo potrebbe cambiare radicalmente: 2021 elezioni in Germania, 2022 in Francia, 2023 in Italia (?) e Polonia (parlamentari), 2024 elezioni europee. Come direbbero gli inglesi, Polonia e Ungheria sono riusciti a dare un calcio al barattolo giù per la strada…e in fondo alla strada non si sa chi ci sarà!
Lascia un commento