In un magistrale articolo pubblicato sul «Messaggero» il 3 marzo u.s., Quei valori di civiltà che ci legano all’America, il sociologo Luca Ricolfi scrive che a unire Europa e Stati Uniti, sono fondamentalmente tre valori: la libertà, l’eguaglianza, la democrazia. Sennonché, fa rilevare, «i grandi valori non vengono solo sottoscritti, ma anche interpretati. E l’interpretazione è il passo più importante, perché da essa dipende fino a che punto siamo disposti a difenderli. E da che punto in poi si è disposti ad abbandonarli, o annacquarli, o modificarli. Ogni valore, prima o poi incontra un limite. Ed è su questo limite, dove si trovi e quando non lo si possa attraversare, che le nostre opinioni divergono». Da anni, ben prima della seconda rielezione di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, il ‘conflitto delle interpretazioni’ relativo ai valori comuni alle due rive dell’Atlantico, ha cominciato a venir fuori, sia pure dapprima in sordina. Si prenda, ad es., la democrazia: si ha l’impressione che per il Vice di Trump, J. D. Vance, la ‘vox populi’, sia quasi la ‘vox Dei’, mentre per gli Europei l’investitura popolare non può abbattere gli steccati in cui le costituzioni contengono il potere legislativo e quello esecutivo. Ma è soprattutto nel campo del diritto che le diverse sensibilità politiche – europea e americana – si manifestano in modo sempre più preoccupante. I diritti degli individui, per una parte sempre più ampia della political culture europea vengono sovraordinati alla salus rei publicae quando si tratta della cittadinanza (alla cui protezione tutti avrebbero diritto indipendentemente dal luogo di nascita) mentre, in America, vengono subordinati alle comunità etnoculturali a costo di ingabbiare gli individui uti singuli.
Con la presidenza Trump, l’Atlantico sembra essere effettivamente diventato più largo. Come ha scritto Antonio Polito nell’editoriale, Le due idee di libertà («Corriere della Sera» del 7 marzo u.s.): «La causa di divorzio in corso tra le grandi democrazie occidentali , di qua e di là dell’Atlantico, sembra vertere essenzialmente sul concetto di libertà: che cosa è, e quando va difesa?». C’è una ‘libertà americana’, sembra di capire, che è diversa dalla ‘libertà europea’: la prima sarebbe una libertà dallo Stato («libertà e individuali e libero mercato»), la seconda sarebbe libertà dallo Stato e nello Stato, fondata sulla consapevolezza che «sacrificare la libertà politica per godere più tranquillamente della libertà civile» significa ignorare – sono parole di Benjamin Constant – che «la libertà politica è garanzia della libertà individuale».
Non so se le cose siano proprio così. Le differenze tra Stati Uniti ed Europa non sempre sono state avvertite come differenze tra culture – se non civiltà – incomparabili. Sia quando gli Americani sono sbarcati in Europa per impedire all’Impero di Guglielmo II di unificarla sotto il tallone prussiano, sia tre lustri dopo quando hanno liberato il Vecchio Continente dalla più spietata dittatura totalitaria, quella nazista, i valori americani e quelli europei sono parsi identici in quanto eredità della tradizione greco-romana, del cristianesimo dei Lumi.
In un saggio, pubblicato su «Nuova Antologia», (16 marzo-1° aprile 1924), Il pensiero politico di Woodrow Wilson, lo storico e filosofo del diritto social-riformista, Alessandro Levi, così sintetizzava ciò che univa l’America di Wilson all’Europa liberale e democratica: «Lo spirito di libertà è uno spirito essenzialmente etico: cioè, religioso. Se la democrazia è autogoverno (self government) condizione imprescindibile di essa è l’autocontrollo (self control). E questo ha, bensì, il suo fondamento nella libertà individuale, a patto che l’uomo libero sappia dominare se stesso. E dominarsi vuol dire obbedire a un’autorità liberamente accettata».
Nel secondo dopoguerra, quella per l’America fu una vera e propria passione collettiva. Non solo il diritto e le istituzioni d’oltreoceano furono oggetto di studio approfondito – si tradusse «Il Federalist», sorsero importanti collane storiche per far conoscere gli Stati Uniti, dal Mayflower alla nascita della grande potenza planetaria, passando per la conquista del West e la sanguinosa guerra civile – ma i costumi, i film, le musiche americane, la moda, i cibi – ivi compreso il chewing gum – divennero oggetto di imitazione. Ne furono testimoni, tra l’altro, film come Un americano a Roma (1954) di Steno e canzoni come Tu vuo’ fa’ l’americano di Renato Carosone (1956).
Grazie agli Stati Uniti, del resto, l’Italia – e con lei l’Europa – si era potuta risollevare dal disastro bellico – e non solo col Piano Marshall – e, inoltre, aveva potuto destinare alle forze armate una quota molto bassa di spesa pubblica grazie alla Nato e all’ombrello nucleare americano.
Sennonché, col tempo, nel Vecchio Continente si cominciò a percepire che il legame con Washington non era tutto rose e fiori. Superpotenza mondiale, l’America perseguiva in Sud America, in Asia, in Africa una politica dettata da interessi che non sempre coincidevano con quelli dei loro partner europei. Di qui il sogno di grandi statisti come Charles De Gaulle di un’Europa affrancata dalla tutela americana (dall’Atlantico agli Urali) e orgogliosa della propria diversità. Di qui, pure, un antiamericanismo che, in qualche modo, riprendeva motivi, miti e pregiudizi di quello fascista.
Si cominciò a distinguere i valori storici che accomunano i popoli dai corposi interessi dei loro paesi, dettati pur sempre dalla ragion di Stato. E via via che si faceva luce sui secondi anche i primi apparivano sempre meno come il cemento ideale dell’alleanza tra i popoli affacciati sull’Atlantico. In fondo, come scrisse il grande storico tedesco Ludwig Dehio, nel saggio La Germania e l’epoca delle guerre mondiali (v. «Il Federalista», a. XXX, 1988, n. 2): «era stata la pura e semplice ragione di Stato americana a spingere sotto sotto l’intervento, ossia in ultima analisi, era stato il loro interesse ad evitare che l’unione dell’Europa sotto una potenza egemonica potesse significare un’eventuale minaccia per gli spazi esterni d’oltremare». E lo stesso sbarco in Normandia era motivato, sì, da ragioni ideali ma altresì dal terrore che la Fortezza Europa, sotto il segno della svastica, potesse comportare la separazione degli Stati Uniti dalla metà europea dell’Occidente. La necessità di far muro contro il comunismo tenne unite le democrazie fino al secondo 89 ma da allora in poi i rapporti non furono gli stessi (v. l’interesse della Germania unificata a stabilire un rapporto autonomo con la Federazione russa).
Oggi, innegabilmente, il ‘conflitto di interessi’ porta, ancora una volta, a gettare il dubbio sulla effettiva condivisione degli stessi valori. È un vasto campo di studi e di ricerche che attende di essere nuovamente esplorato da scienziati politici, economisti, filosofi, giuristi. L’essenziale è farlo con «occhio chiaro e con affetto puro», cercando di non lasciarsi condizionare (troppo) dalle passioni, dalle speranze, dalle paure del difficile momento che stiamo attraversando.

Lido Giuseppe Chiusano dice
Attenzione alla distinzione tra libertas absoluta e libertas secundum quid.