In questo periodo i giornali sono pieni di dati e infografica relativi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR); non voglio addentrarmi in questa analisi già sufficientemente frequentata e documentata, vorrei invece richiamare il problema dell’entità che il debito pubblico sta assumendo e le condizioni politiche che possono consentire di affrontarlo senza grossi drammi.
Le azioni di sostegno ai redditi di chi è stato colpito dalla crisi sanitaria nel 2020 e 2021 stanno portando il rapporto debito pubblico/PIL verso il 160%. Visto che, dei 221 miliardi che sono destinati al PNRR, solamente 40/45 saranno trasferimenti netti a fondo perduto che gli altri stati membri, tramite il debito emesso dalla Commissione Europea, metteranno a nostra disposizione, nel corso dei prossimi anni il nostro debito pubblico continuerà ad aggirarsi intorno al 155-160% del PIL. Livelli dai quali scenderà in funzione sia del ritmo di crescita che il PNRR riuscirà a imprimere alla nostra economia, sia dell’inflazione che la Banca Centrale Europea (BCE) sarà disponibile ad accomodare senza rialzare i tassi di interesse.
In particolare, la crescita dell’economia, oltre che dalle spese d’investimento previste dal PNRR, dovrebbe essere sostenuta dalle riforme della PA e della giustizia, dalla semplificazione legislativa e dalla promozione della concorrenza; «è prevista infine una riforma fiscale che affronti anche il tema della imposte e dei sussidi ambientali» (PNRR p. 7).
Nonostante le tante differenze radicali che sussistono, quanto sopra richiama il primo decennio del secondo dopoguerra con lo European Recovery Program (detto Piano Marshall), che pose le premesse di finanza estera per la liberalizzazione della nostra economia. Ciò favorì un insieme di riforme, come il Piano Fanfani per la casa nel 1949, la riforma agraria nel 1950, la riforma fiscale, cosiddetta Legge Vanoni del 1951, cui seguì il Piano Vanoni, ovvero, Schema per lo sviluppo del reddito e dell’occupazione 1955-1964 e infine il Piano decennale di Fanfani per la scuola del 1958.
Riforme che, pur nella discrepanza tra obiettivi e realizzazioni, hanno inciso in modo significativo nell’economia e nella società italiana, hanno sostenuto il recupero non solo dei livelli di reddito ante guerra, ma il recupero di tutte le opportunità di sviluppo dalle quali il ventennio d’ante guerra ci aveva isolato. Ben altra resilienza di quella che ci possiamo aspettare oggi. Quella di sessanta/settant’anni fa aprì le porte al centro-sinistra e alla ulteriore stagione di riforme che seguì, confezionando quella che ora chiamiamo golden age, cui lo shock sui prezzi del petrolio del 1973 pose fine. Il PNRR attuale dovrebbe consentirci di affrontare con maggiore respiro la grey age nella quale ci stiamo addentrando.
Mi domando se la classe politica attuale possa essere in grado di portare a termine con determinazione questo Piano complessivo per gli anni venti del duemila. Settant’anni fa, la situazione internazionale obbligava a una stabilità politica di fondo, al di là dell’alternarsi dei singoli governi. Per l’oggi, penso innanzitutto agli snodi politici che abbiamo davanti. Questo governo riuscirà a sopravvivere oltre l’elezione del Presidente della Repubblica?
Ammesso che arrivi in una configurazione simile alle elezioni politiche del 2023, quale configurazione avrà il nuovo governo che dovrà prendersi in carico la gestione dei progetti del PNRR? Conserverà la governance che ora si sta definendo? Sarà in grado di rispettare e far rispettare le scadenze definite nel crono programma che ora viene presentato? Scadenze che saranno le premesse per l’incasso delle rate di prestiti programmate.
In prossimità delle elezioni politiche, i candidati che concorreranno alla presidenza del consiglio saranno in grado di presentarsi assieme sull’arena politica internazionale e dichiarare che chiunque vinca porterà avanti gli impegni presi senza stravolgere quanto già impostato?
Questo passaggio sarà molto delicato perché, come è stato più volte detto, l’evoluzione della costruzione europea dipende dal successo del PNRR italiano; l’Italia è infatti il paese sul quale si è concentrato maggiormente lo sforzo degli altri Stati Membri, come se fosse il test per valutare la possibilità di proseguire sulla strada della mutualizzazione del debito pubblico verso la configurazione di un bilancio europeo con almeno qualche caratteristica federale.
Se non saremo in grado di garantire nel tempo la nostra lealtà europea, al di là delle diverse maggioranze politiche che possono alternarsi al governo del Paese, difficilmente il PNRR sul quale l’attuale governo sta per impegnarsi potrà avere il successo desiderato. L’entità del debito pubblico, in tal caso, tornerebbe ad essere un problema specifico della nostra economia.
I passi che si stanno compiendo verso una maggiore integrazione politico-economica dell’Europa potrebbero diventare effettivamente reversibili; non dimentichiamo che nell’arco di tempo di implementazione del PNRR vi saranno due cicli elettorali dei singoli Stati Membri e del Parlamento Europeo, proprio quando nel 2028 cominceranno le restituzioni dei debiti contratti dai singoli paesi tramite la Commissione Europea, restituzioni che termineranno nel 2058.
Se non fossimo in grado di garantire questa continuità almeno per la parte che ci riguarda, anziché preconizzare una nuova golden age dovremmo limitarci ad arrancare nella grey age che comunque ci aspetta dal punto demografico.
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