Giustamente infastidito dal ritorno dell’anti-berlusconismo ‘strillone’, il giornalista Nicola Porro ha scritto: «Berlusconi ha un asso nella manica, vincente e comprensibile. Consiste in una foto. Quella di Pratica di Mare. Il “delinquente”, il “male assoluto” è ritratto tra il presidente americano, Bush, e quello russo, Putin, mentre si stringono la mano. Fu in quella occasione che l’ex presidente del Consiglio italiano convinse Europa, America e Russia a guardare dalla stessa parte». Era lo spirito di Pratica di Mare: l’Italia è e deve rimanere un membro leale della Nato, ma questo non vuol dire rinunciare a dialogare con la Russia.
In effetti, Pratica di Mare merita un approfondimento. Perché l’Italia potrebbe trovarsi a compiere nuove scelte. È già accaduto di dover assumere una posizione nell’agosto 2008, nel corso della guerra in Georgia, poi nel 2014, sull’Ucraina, e più recentemente a proposito di Siria. Non si tratta di decisioni di politica estera che richiedono una riunione del consiglio di guerra, che l’Italia neppure ha, e neanche un incontro al Quirinale, convocando quel core executive qual è diventato, con la presidenza Napolitano, il Consiglio supremo di difesa. Si tratta di credibilità del Paese, quella di un adolescente geopolitico che non riesce, dopo quasi 30 anni, ad uscire dagli schemi cartesiani della guerra fredda, a superare lo stato di puer aeternus, come ha scritto Lucio Caracciolo, poiché affetto dalla sindrome di Peter Pan.
Le buone relazioni tra Italia e Russia sono state una scelta bipartisan, così come quelle tra Italia e Libia. La politicizzazione della politica estera nel corso della Seconda Repubblica ha riguardato solo l’inclusione dell’Italia nella lista dei volenterosi, al tempo dell’Iraq, nel 2003, quando l’Europa si divise, e i toni da scontro di civiltà divisero ancor più gli italiani. Per il resto, lo spirito di Pratica di Mare è patrimonio nazionale, ossia stringere la mano ai russi, sviluppando le nostre buone relazioni commerciali, senza per questo rinunciare all’amicizia con gli americani: in tal senso, siamo tutti russo-americani. Si può essere ancor più chiari: l’Italia può essere il miglior amico della Russia tra i membri della Nato e dell’Ue. Uscire dalla Nato o dall’Ue per essere i migliori amici della Russia è contro lo spirito di Pratica di Mare.
Ma un fantasma aleggia su questa ovvietà nazionale. E come tutti gli spettri, si prende un po’ gioco dei creduloni. In primo luogo, non fu Berlusconi ad avvicinare Bush e Putin: perché l’Italia non ha peso e prestigio, amicizia e stima tra leader a parte, per riuscire in una impresa del genere. Nel racconto dei più appassionati fu a Genova, durante il G8 del 2001, che Berlusconi mise a disposizione la prefettura della città per spingere Bush e Putin a parlarsi. Vera è la storia della prefettura; ma i due si erano già dati appuntamento in un precedente incontro in Slovenia. Sempre stando alla versione italiana, fu Berlusconi a convincere Bush chiamandolo al telefono dalla dacia di Putin. In realtà il precorso del successivo avvicinamento, dopo Lubiana e Genova, passò da Washington e Mosca, dove pochi giorni prima di Pratica di Mare vi fu la dichiarazione congiunta sulle nuove relazioni strategiche USA-Russia: 24 maggio 2002. Ciò che a Berlusconi riuscì è portare vicino a Roma la sigla dell’accordo tra Nato e Russia. Come ha ricordato un suo stretto collaboratore, quando ebbe la risposta positiva sul vertice in Italia Berlusconi si mise subito a lavorare alla diretta televisiva della fine della guerra fredda. In effetti, la firma del 28 maggio fu motivo di orgoglio personale per chi aveva dovuto subire, fino ad allora, solo attacchi e umiliazioni internazionali.
In secondo luogo, il dialogo aperto con la Russia di cui parlano alcuni esperti e politici anche in questi giorni richiede chiarezza. Occorre essere consapevoli che presentarsi come il migliore amico di qualcuno, che il nostro gruppo di riferimento a volte guarda con diffidenza, richiede credibilità. Questa credibilità non è il risultato di un’equazione inconfutabile ma può tradursi in tanti modi, in luoghi e tempi diversi. Cosa è cambiato nell’ultimo decennio? C’è una data da ricordare: il 10 febbraio 2007. In occasione dell’annuale Münchner Sicherheitskonferenz, Putin fece un discorso considerato da molti osservatori come il momento di svolta nelle relazioni tra Russia e Stati Uniti, l’inizio di una seconda guerra fredda. Lo stesso giorno a Springfield, Illinois, Obama fece l’annuncio ufficiale della sua campagna presidenziale. I rapporti tra Obama e Putin sono stati pessimi. Ma i rapporti tra Mosca e Washington sono peggiorati già prima, con la sospensione del dialogo Nato-Russia nel 2008, quindi con la fine del G8 nel 2014. L’elezione di Trump non ha reso più chiaro il quadro. La politica internazionale è cosa molto seria, non è che se le cose si mettono male allora si vola via. Semmai ci si ritrova ad acchiappar fantasmi del passato. Non c’era alcuna guerra fredda da concludere nel 2002 e tanto meno oggi. Lasciamo perdere Pratica di Mare e pensiamo ad essere credibili con un governo che lavori sui quattro cerchi della geopolitica repubblicana: Europa, Mediterraneo, mondo atlantico, sistema globale.
Dino Cofrancesco dice
Concordo in linea di massima con quanto scrive Diodato. Il netto ridimensionamento del ruolo di Berlusconi, però, mi fa pensare ai servizi dall’America di Giovanna Botteri che a Trump non riconosce neppure il merito di aver liberato i tre americani (‘si tratta, precisa sempre l’ex manifestina, di tre nordcoreani divenuti cittadini statunitensi’. Qualcuno dovrebbe dirle che tutti gli americani , da qualche anno o da qualche secolo, appartengono ad etnie non pellirosse).
Berlusconi ne ha fatto di cotte e di crude ma in qualche affare di politica estera si è mostrato più saggio di Napolitano, del PD e di tutti i fondamentalisti dell’occidentalismo.