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Geopolitica della comunicazione nei tempi della pandemia globale

23 Aprile 2020 di Edoardo Tabasso Lascia un commento

Complessità, incertezza, ambivalenza. Ecco le tre parole chiave con le quali sarebbe necessario, è necessario, fare i conti per fronteggiare il virus di Wuhan. ‘Cosa succede se?’ è diventato ‘ora cosa?’, una crisi, a essere eufemistici, che confuta tutto ciò gran parte del mondo ‘occidentale’ crede di se stesso, rivelando inadeguatezza e paura ad apprendere.

Un Cigno Nero, evento ad apparente bassa probabilità e di grande impatto che potrebbe persino rimodellare nei prossimi anni l’ordine/disordine mondiale.


Dopo i primi passi falsi di Pechino – i suoi sforzi sistematici per coprire la gravità e la diffusione dell’epidemia, sottostimando il numero degli infetti e il numero dei morti – la Cina sta lavorando per trasformare il suo sharp power attraverso cultural wars più ampie da trasmettere al resto del mondo (non è detto che però vengano facilmente condivise).

La pandemia globale è una lente per cogliere i disequilibri delle strutture politiche e sociali: uno stress test per la solidità degli Stati nazionali e delle strutture sovranazionali.

La rapida politicizzazione dell’emergenza coronavirus ha dei precedenti storici: non dimentichiamolo, ai fini di strategie comunicative di public diplomacy da incentrare sul realismo politico e non sull’emotività.

A partire dalla Morte nera nel XIV secolo, la necessità di controllare le epidemie ha contribuito a creare lo Stato moderno. Le società e gli Stati si sono definiti a partire dalla loro risposta alle epidemie di malattie infettive: il primo problema globale che gli Stati nazionali hanno compreso che non potevano risolvere senza la cooperazione internazionale.

Già nei secoli passati i leader politici si resero conto di quanto le quarantene potevano essere usate per piegare le nazioni rivali. Ma nel tempo maturò il pragmatismo: tenere aperti canali di comunicazione per la governance e la condivisione di dispositivi medico sanitari anche con i rivali era più efficace per proteggere la circolazione di merci e persone e salvaguardare la stabilità interna. Quindi, anche in questa occasione, le vere lezioni dalla pandemia saranno politiche e di cultura politica.

La nuova sfida contemporanea che sta emergendo nella gestione del coronavirus chiama in causa la mancata riconfigurazione della politica e della riarticolazione delle rappresentanze sociali in una società individualizzata ed esposta agli effetti collaterali della globalizzazione, fra cui il declino del ceto medio, i processi di sviluppo tecnologico che stanno accompagnato le società postindustriali, le disintermediazioni della Rete, gli effetti della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008, le carenze alimentari, il fenomeno della immigrazione, l’insicurezza ambientale, il terrorismo.

Il fronte fragile delle democrazie liberali, un sistema che sembrava, dopo il 1989, essere in grado di superare gli ostacoli senza fatica, è entrata nell’era della sfiducia. Le liberal-democrazie sono istituzioni apparentemente fragili; durano nel tempo se dimostrano di essere perfettibili attraverso incessanti passaggi di legittimazione e ri-legittimazione.

Oggi esse sono sottoposte a torsioni perché immane è il compito che esse si trovano a dover fronteggiare e forti sono le tentazioni dall’interno e le spinte aggressive dall’esterno per lasciarle cadere, accantonando il compito di costruire società aperte nelle quali tutti gli individui possano realizzarsi in quanto persone, e non solo o non tanto in quanto ruoli sociali o in quanto membri di questo o quel gruppo di appartenenza.

Le accelerazioni storico-sociali indotte dalla pandemia globale fanno da catalizzatore ad una nuova fase che amplifica gli effetti precedenti, toglie speranza, scava un solco tra le popolazioni, che vedono andare in pezzi il proprio ambiente d’esistenza. Le classi dirigenti provano a difendere il vecchio quadro culturale, ma smarriscono capacità di indirizzo e incapacità nel riadattare il potere in virtù e in valori politici quali lo spirito di sacrificio e l’assunzione del rischio personale per gli interessi generali.

Torna quindi utile la lezione di Gino Germani sulle asincronie: sfasature temporali che convivono dentro le dinamiche dei processi di cambiamento tipiche della modernizzazione, disequilibri dinamici che si producono continuamente senza che siano realisticamente percepiti, descritti, concettualizzati e analizzati.

Nella ‘rivincita della Storia e nella vendetta della geografia’ riscopriamo durante questa pandemia globale che le persone non sono interessate solo a soluzioni economiche. Cercano rappresentanza, forza interiore, empatia, senso della comunità. In una parola, cercano identità politica in grado di sussumere identità religiosa, sociale, di ceto, etnica. Ed è illusorio pensare che siano sufficienti soluzione tecnocratiche a sfide politiche, ovvero a problemi di come si condividono valori e risorse.

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