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Giovani e politica: quando la formazione può fare la differenza

11 Marzo 2019 di Riccardo Cavallo Lascia un commento

A margine dell’incontro tenutosi lunedì 25 febbraio mi sento di fare delle riflessioni su quello che è oggi lo scenario politico e sociale italiano. Sono uno studente iscritto al corso magistrale di Scienze politiche e delle relazioni internazionali, ho scelto questo corso per amore verso la politica e verso il mio paese e per tale motivo affronto questo percorso cercando di carpire quanto più possibile da docenti e manuali. Ed è proprio dai manuali che vorrei partire in questo commento. Uno dei primi esami in triennale fu Scienza politica e il manuale scelto dal docente era Nuovo Corso di scienza politica di G. Pasquino. Ho affrontato quell’esame non con molta serenità. Oggi trasferitomi a Roma ritrovo in questo incontro proprio il Professor Pasquino a cui ho dato un volto, che arrivato in sala in anticipo mi si avvicina e con fare da intervistatore mi chiede il perché della mia presenza a quell’incontro vista l’ora problematica. Gli rispondo che ero lì per assistere al confronto tra i due docenti e sorpreso mi risponde essere cosa rara oggi. Ed è proprio questo il punto da cui vorrei partire: i giovani e la politica. La disaffezione dei giovani per la politica è ormai argomento noto ma forse bisognerebbe chiedersi il perché. La politica che abbiamo conosciuto noi ragazzi non è la politica di cui abbiamo bisogno. Una politica affarista che ha come fine ultimo non quello di lasciare il segno nelle generazioni ma rimanere ancorata alla poltrona per generazioni. La politica che ho conosciuto è intesa come professione e non come mettersi al servizio della collettività per un periodo per poi far ritorno al proprio lavoro. Come riporta il Professor Letta: «Devi avere un mestiere e una professionalità al di fuori della politica per poter essere libero, in politica, di fare le giuste e coerenti scelte». Questo oggi non accade e se accade è cosa rara. Questo meccanismo mette in atto un cortocircuito per cui chi entra a far politica non vuole più uscirne. Dal 1994 con l’ingresso di Berlusconi in politica è cambiato sicuramente anche il modo di comunicare della politica con la base elettorale. Questo fenomeno oggi si è amplificato anzi esasperato. Non vi è più un agire politico meditato e calcolato ma azioni impulsive dei politici per cercare di essere smart, vicini al popolo, onesti, uguali, uno vale uno. Ma siamo sicuri che siano questi i politici di cui l’Italia ha bisogno? Se le due forze politiche più importanti oggi riescono a permeare così bene e facilmente nel tessuto sociale e creare tifosi più interessati a denigrare chi la pensa diversamente che a creare dibattiti costruttivi a mio parere il problema parte dalla mancanza di formazione politica. La politica con l’avvento dei social media è diventata cosa di tutti, tutti politici, tutti statisti, tutti docenti. Ma in tutto questo parlare le competenze dove sono? La formazione per noi giovani dov’è? Dove sono le scuole di scienze politiche per formare le future classi dirigenti? Perché oggi chi studia materie umanistiche è relegato ai margini del mondo accademico e lavorativo. Ma forse l’obiettivo era proprio questo, uno vale uno, le competenze in questa politica sono relative e i confronti politici più interessanti, specie sul tema dell’economia, terminano con un eloquente ‘questo lo dice lei’. L’Italia è un paese caratterizzato da governi di corto respiro e per tale motivo i partiti focalizzano la propria attenzione su misure che possano riportare dei benefici nel breve periodo, in modo da potersene vantare ed esporre alle prossime consultazioni elettorali. Questo comporta che le vere politiche essenziali al paese o ostiche vengono lasciate a coloro che verranno dopo perché non portano voti, non portano un ritorno di immagine, non portano al riconfermare della poltrona. Mi duole dover constatare che l’affermazione del Professor Pasquino corrisponde al vero: la politica di oggi è compromessa inevitabilmente, e il cambiamento per avere una classe politica diversa non può che vedere noi come protagonisti, non perché la nostra generazione sia differente dalle altre ma appunto per un semplice dato anagrafico. I nostri genitori ci hanno lasciato questo mondo, questa politica e non possiamo far finta di nulla, o la si cambia o le conseguenze saranno irreversibili. Ogni campo dell’agire politico si scontra inevitabilmente con le competenze. Se non siamo preparati non possiamo sperare che il cambiamento della classe politica possa avvenire. Ma questo in Italia è cosa ardua dal momento che quando urge recuperare soldi il governo batte cassa sull’istruzione. I ragazzi oggi scappano all’estero per sperare di essere valorizzati o molto più semplicemente per studiare in università che offrano quanto loro sognano. L’Italia è ferma e continua a tirare a campare, guidata nel cambiamento dal partito più vecchio in parlamento, la Lega. Le politiche migliori che questo governo è riuscito a mettere in atto per i giovani quali sono state? Reddito di cittadinanza, quota 100, il mettere in dubbio l’utilità dell’Europa che invece dovrebbe essere la nostra ancora per sperare di non essere isolati. Queste misure danneggiano solo i giovani. E allora, se i presupposti sono questi, forse il cambiamento in politica non sarà solo il professor Pasquino a non vederlo, ma neanche la nostra generazione.

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