Caro Vanni,
ti ho conosciuto personalmente solo alcuni anni fa. Dunque, nella fase declinante della tua vita.
Ricordo perfettamente il primo incontro nella casa di Via Montoro che avrei frequentato. Fui condotta in visita da te senza nessun preavviso e, come primo moto, da gentleman uso alle maniere garbate con le signore, accennasti al disappunto dell’esserti presentato in vestaglia. Eri, comunque, elegantissimo, con squisite pantofole Gucci ai piedi.
La tua ironia, più spesso il tuo sarcasmo, non mi intimorirono mai. Da toscana come te, ne coglievo sino in fondo la finezza e ne ravvisavo, più che una semplice attitudine, una sorta di radicale modo di stare al mondo. Un modo che può farti male quando ne sei il bersaglio, ma che bandisce la noia.
A me, però, non destinasti mai alcuno strale.
Anzi, tra noi, fin da subito, forse perché rilevasti che non mi lasciavo intimorire, pur nella palese asimmetria tra un gigante e una persona qualunque, scattò una bella intesa. Essendoti stata presentata in qualità di «la mia compagna» ti riferivi a me come «la ragazza». Seppi infatti che, subito dopo la conoscenza, commentasti: «carina, davvero carina la tua ragazza!».
Come non rimanere conquistata?
E tuttavia abbiamo avuto anche scontri, causa un motivo ormai remoto. Mi allontanai da te, delusa. Poi, a fronte del peggioramento delle tue condizioni di salute, in una folata mi passò tutto e ti scrissi. Ti commovesti e ti scusasti. Forse, come dicono, non regalavi niente a nessuno. Però il tuo rammarico fu insistito e sincero. Ti comportasti da giusto.
In altra occasione, mi dichiarasti subito che avresti scritto senz’altro, e molto volentieri, la prefazione al volume in onore di Pasquino del quale mi stavo occupando. Tuttavia, il tremolio delle tue mani era molto avanti rispetto alla fermezza del tuo pensare e dovemmo aspettare il momento opportuno. «Non ho dichiarato che lo considero il migliore dei miei allievi», mi prevenisti alla consegna del testo, «per non urtare altre sensibilità». Obbiettai. Scusa se, ora, mi prendo la libertà di rivelarlo.
Del fascicolo a te dedicato dallo stesso Pasquino, complice la mia rivista Paradoxa, fosti assai contento. Discuterne con illustri amatori del Sartori/pensiero fece parte della festa per i tuoi novant’anni.
Ovviamente, avevo iniziato a leggerti, muovendo dai testi più semplici. Ma era un’illusione, la complessità è l’intrinseca ricchezza dei tuoi scritti. Quando ti trovavo sul Corriere ero davvero contenta.
Isabella, impulsiva ed esotica, ti induceva a qualche reprimenda quando, con il suo slancio, si inseriva di botto nelle conversazioni. Lei faceva l’offesa. Ma si trattava di un gioco tra voi.
Non potevi stare a lungo senza la sua vicinanza. Andando avanti con la malattia, la volevi continuativamente accanto. Ritengo che negli ultimi tempi tu abbia vissuto anche grazie a lei.
Ricordo il vostro matrimonio. Una sposa molto bella e un futuro marito un po’ smarrito.
Ma nello smarrimento estremo, lei c’è stata.
Laura
Isabella Gherardi Sartori dice
Grazie Cara Laura, hai sintetizzato molto bene il vostro , (nostro )incontro. Ci fu subito simpatia, stima e ammirazione tra di voi e il Prof. non era generoso nell’esternare tali sentimenti. Grazie anche per le parole che hai avuto per me. Ora penso che per lui non ero troppo giovane, ma troppo vecchia. Era lui il più forte e lo ha dimostrato fino all’ultimo.. il resto è vita.
isabella