Qualcuno potrebbe iniziare ad interrogarsi sul significato che possono avere i cosiddetti ‘confronti politici’. All’osservatore esterno appaiono sempre più come puro spettacolo in cui coloro a cui è concesso di farlo proclamano il loro modo di vedere le cose senza che ci sia per chi vi assiste alcuna possibilità di capire chi parla con cognizione di causa e chi lo fa a vanvera.
Si dirà: ma lo spettatore può giudicare chi porta elementi convincenti e chi no. Purtroppo non è così, perché anche l’argomentazione non fondata può apparire veritiera se sostenuta con la dovuta veemenza e furbizia. Possiamo facilmente fare degli esempi. La TAV costa 4 miliardi o 20? Porta vantaggi o sono soldi buttati? I vaccini possono provocare rischi gravi alla salute di chi vi si sottopone oppure questa è una fola? I flussi migratori hanno provocato disastri straordinari negli equilibri sociali italiani oppure no? È possibile rispedire in patria i migranti irregolari o quella possibilità non esiste se non in misura poco rilevante? Si potrebbe naturalmente continuare.
Anche qui si conosce l’obiezione: ma a tutte queste alternative si può dare una risposta ‘oggettiva’ sul piano dei dati scientifici. Ci si consenta di far notare che è una illusione. Non perché non sia possibile affrontare le questioni con analisi razionali, ma perché queste non ‘sfondano’ in una opinione pubblica avvelenata dalla convinzione che la razionalità sia un ‘trucco’ nelle mani di chi ha un interesse a tirare l’acqua al proprio mulino.
Anzi proprio questo clima ha generato un autentico mostro: l’idea che ci sia un dovere per chi fa ‘informazione’ di dare spazio a tutte le ‘tesi’, perché si dovrebbe garantire la possibilità del ‘pubblico’ di schierarsi con chi lo convince di più. Inutile ricordare che è sulla base di questo modo di vedere il confronto politico che nella storia hanno prosperato tutti i tipi di demagogia.
L’antidoto a questo fenomeno, che sta pericolosamente mettendo in crisi tutte le società, è nel ritorno a riconoscere che ci deve essere un ambiente di ‘saggi e sapienti’ dotati di sufficiente autorevolezza sociale per fare loro quell’analisi discriminante di problemi complessi e tracciare il confine tra ciò che può essere sostenuto, anche dialetticamente, e ciò che va bandito perché serve solo a creare confusione (una condizione sempre politicamente pericolosa). Ciò che viene ‘taggato’ (per usare un linguaggio dei tempi) come destituito di fondamento non deve trovare spazio là dove si è accreditati a formare la pubblica opinione.
L’obiezione che esiste il rischio che ‘saggi e sapienti’ si sbaglino è da tenere presente (Galileo insegna), ma esso va combattuto nella serena consapevolezza che altri ‘saggi e sapienti’ li correggeranno impegnando gli stessi strumenti di conoscenza, non illudendosi che maghi e stregoni autocertificati dalla loro capacità di fare audience possano dischiudere tesori di conoscenza raccattati non si sa in quali meandri dei loro cervelli.
dino cofrancesco dice
Capisco le apprensioni di Pombeni e indignano anche me certi ‘confronti televisivi’. Temo, però, che il suo antidoto sia peggiore del male: «ci deve essere un ambiente di ‘saggi e sapienti’ dotati di sufficiente autorevolezza sociale per fare loro quell’analisi discriminante di problemi complessi e tracciare il confine tra ciò che può essere sostenuto, anche dialetticamente, e ciò che va bandito perché serve solo a creare confusione (una condizione sempre politicamente pericolosa)».Cosa propone in sostanza? Un albo professionale composto da esperti delle più varie ‘famiglie ideologiche’ da cui trarre i protagonisti dei dibattiti mediatici? E, semmai, con l’imprimatur dell’Anpi–suprema Coscienza Morale della Repubblica nata dalla Resistenza–per evitare altri spiacevoli episodi come quello di Antonio Tajani con le sue esternazioni sul fascismo? Dall’albo escluderemo Alberto Bagnai che sull’euro (e i suoi disastri, veri o presunti) sostiene idee opposte a quelle di Sabino Cassese? Non è che mi dispiacerebbe molto giacché non sono affatto convinto dagli argomenti di Bagnai ma l’abito del censore non si trova nel mio guardaroba.
Marta Regalia dice
Mi permetto di dissentire dall’autorevole opinione del Prof. Pombeni. Posto che quanto da lui suggerito sia un bene (e anche su questo punto conservo seri dubbi), gli attuali strumenti di comunicazione “disintermediata” hanno creato una situazione in cui qualsivoglia “censura” (anche benevola, come suggerito, ma sempre di censura si tratta) risulta impossibile oltre che controproducente. Siamo entrati in un’era nuova, i nuovi strumenti hanno aperto sfide e potenzialità mai viste prima, a cui non è possibile rispondere con strumenti “vecchi”. Non so quale possa essere la soluzione al problema, probabilmente soltanto la tanto vituperata scuola.
alberto de stefano dice
Trovo interessante,coraggioso,inedito l’approccio di Paolo Pombeni,in tema di confronti “politici”,mi pare di capire essenzialmente televisivi,che infarciscono le varie reti,a ritmi parossistici,quotidie,con qualche sosta domenicale per cedere il passo allo Sport.Il fenomeno non e’ nuovo.Di certo ,si manifesta in forme ossessive,ma con la stranezza che a svolgersi sono, per lo piu’ ,non “confronti”,ma unilaterali assertive esternazioni di questo o quel personaggio dello scadente panorama attuale,con giornalisti mediatori,remissivi,poco inclini alla obiezione,alla domanda insidiosa,alla puntualizzazione.Si svolge tutto secondo un format abbastanza scontato,sonnolento,che non muta nella sostanza nelle diverse emittenti.Naturalmente si tratta di poveracci che discutono senza discutere,sparano cifre e dati senza contraddittorio e senza che alcuno si preoccupi di verificare.Festival della pubblicita’-propaganda,con attori sciatti ,improbabili.
Pombeni propone di dare spazio a saggi qualificati,per ciò stesso attendibili,liberandoci degli imbonitori clamanti che inflazionano i talk in voga.
Credo che L’AUTORE voglia provocare una riflessione sullo scadimento,obiettivamente macroscopico del dibattito politico,senza illusioni sulla reale possibilita’ che l’idea venga raccolta.
Comunque Pombeni ,suggerendo che parlino di politica solo i “migliori”,rilancia in realta’ una prospettiva molto piu’ ampia e seducente,a mio parere personalissimo.LA DEMOCRAZIA DEGLI ARISTOCRATICI,DEI MIGLIORI.Perbacco,funziono’ millenni addietro.Perche’ non riprovarci per dare scacco ai populismi che ci stanno accoppando ?