Leggo su «La Repubblica» del 16.02.21, con l’autorevole firma di Luciano Violante, che il Governo Draghi che sta nascendo ha «natura nuova», ed è il primo della «era della Costituzione». Si vuole sostenere forse che i precedenti governi si erano formati in modo incostituzionale?
Dico subito che, a mio avviso, i due concetti non sono di Violante, che conosco come persona assennata ed equilibrata, ma sono da attribuire al giornalista che ha confezionato il ‘messaggio’, e tuttavia rimane il fatto che Violante ci propone un modello interpretativo della nascita del governo Draghi di un certo tipo, domandandosi se insieme ad una correzione nella composizione del governo non stia nascendo nelle cose qualcosa di diverso, proprio nel cuore della forma di governo.
Ovviamente, si pensa qui subito alla posizione del Presidente. A questo proposito, noi sosteniamo da tempo che i nostri costituenti lasciarono volutamente libera una casella per far funzionare il Presidente come motore di riserva ogni volta che il parlamento si rivelasse incapace di formare il governo. Non è dunque questa la novità, ed in effetti già con la presidenza Scalfaro si ebbe il governo Ciampi, cui il Presidente conferì quel quid di legittimazione che mancava al parlamento nel 1993, in piena Tangentopoli.
Se mai c’è da riflettere sulle simmetrie che caratterizzano le due coppie Scalfaro-Ciampi e Mattarella-Draghi, che in entrambi i casi rappresentano una ben precisa costruzione del ‘bene comune’ attraverso uomini delle istituzioni particolarmente idonei a dialogare con uomini appartenenti al mondo degli interessi organizzati, oltre il punto costituito dai partiti, al di là della mediazione dei partiti.
Insomma, abbiamo alle spalle un po’ di storia della Repubblica, sufficiente per sostenere che il nostro parlamentarismo è nei fatti corretto da una componente di carattere presidenzialistico. Tanto che la discussione successiva, anche in Bicamerale, si orientò nella direzione di un rafforzamento della legittimazione del Presidente, che pareva essere necessaria proprio nel momento delicato che stiamo ora vivendo, della formazione del governo.
Ma allora, per comprendere bene la nostra attualità costituzionale, a noi pare necessario fare l’operazione inversa a quella tentata da Violante. Non si tratta quindi di sottolineare gli eventuali elementi di discontinuità presenti nella formazione del governo Draghi, ma di essere capaci di vederlo nella sua oggettività, come frutto di una tradizione implicitamente presente nel testo della nostra Costituzione.
E tuttavia una novità c’è, e consiste nella esplicitazione di tutto questo. Violante nota come il Presidente abbia conferito il mandato per la formazione di un governo che possa ricevere la fiducia del parlamento, ma senza che debba identificarsi con alcuna formula politica”. Insomma, un governo che in modo finalmente esplicito si fondi sulla sua maggioranza parlamentare, ma senza ‘formula politica’, ovvero un governo parlamentare senza partiti. È questa la novità vera, soprattutto se pensiamo al ruolo dei partiti politici che era stato loro assegnato dalla Costituente e dalla successiva cultura politica e costituzionale repubblicana, che aveva sempre considerato impossibile una democrazia senza un forte sistema di partiti.
Qualche volta, ascoltando Draghi, sembra di risentire, in questa linea di pensiero, la tradizione liberale del costituzionalismo, che immaginava il parlamento e la stessa rappresentanza politica, come il frutto di una designazione di capacità, da parte dell’elettore, che si svolgeva tutta all’interno di una sola classe: quella borghese del possesso, ed anche della cultura, ma solo di quella che si riproduceva all’interno di un perimetro storicamente dato.
Oltre, saremmo stati sommersi da un’infinità di compiti, soprattutto di ordine sociale, ed in primo luogo mediante il ruolo che i partiti avevano conquistato. Ed ora, il problema è ancora e sempre lì, questa volta sul tavolo di Mario Draghi.
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