Dopo un anno dalla invasione dell’Ucraina da parte della Russia siamo di fronte ad una guerra che si declina su due diversi piani. Il primo piano è quello della guerra combattuta sul campo che vede fronteggiarsi l’esercito ucraino e quello russo, con innesti di truppe irregolari come i soldati della Wagner, ed il secondo quella della redistribuzione dei pesi di potere all’interno del Sistema internazionale (Si) e del suo stesso riconfigurarsi a causa della guerra.
Nella fase iniziale della guerra, si riteneva che la Russia si sarebbe potuta agevolmente espandere dal Donbass, in cui in forma ibrida era già presente dal 2014 quando la Crimea fu illegalmente annessa, fino ad Odessa. In questo modo, il Cremlino avrebbe compattato una striscia territoriale di continuità fra la Russia e la parte sud dell’Ucraina, includendo la penisola di Crimea e arrivando a lambire i confini della Moldova e della Romania. Questa prospettiva apriva a successive possibili azioni come il pieno controllo della Moldova da realizzarsi in forma di progressiva penetrazione attraverso la Transnistria, intervento che non si sarebbe con tutta probabilità configurato come guerra tradizionale.
L’ipotesi di una proiezione territoriale rapida e spedita è stata però smentita da almeno 3 condizioni. La prima riguarda una cattiva informazione; la seconda una reazione della popolazione locale e del governo ucraino e la terza il sostegno massiccio e finora continuo da parte dell’Occidente all’Ucraina.
Per quanto riguarda la prima condizione, è probabile che al Presidente russo, Vladimir Putin, fosse stato prospettato uno scenario strategico falsato o manipolato, nell’intento di assecondare i suoi desiderata. Si può anche supporre una certa difficoltà da parte dei consiglieri del Presidente a pianificare strategicamente l’intervento a causa di una rete informativa lacunosa, o una interpretazione fondata su considerazioni materiali (superiorità militare, risorse umane) piuttosto che psicologiche, emotive e identitarie. A questo si aggiunga che all’interno di un ecosistema informativo plasmato al consenso del leader è difficile che si manifestino forme di contestazione o dissenso anche tra i suoi più fidati collaboratori.
La seconda considerazione attiene alla sottovalutazione della reazione della popolazione ucraina che non ha accolto con entusiasmo l’esercito russo ma anzi gli ha opposto una strenua resistenza. Gli stessi russofoni del Donbass si identificano ormai, in larga parte, con lo Stato ucraino, indipendente e sovrano da ormai più di trenta anni.
La terza condizione è relativa al fronte occidentale che ha risposto fermamente e ha condiviso misure di hard power come i diversi round di sanzioni, secondo una traiettoria di escalation. Inoltre. l’Occidente ha deciso non solo di sanzionare la Russia, ma anche di sostenere l’Ucraina nel resistere all’attacco, attraverso la fornitura di armi e ed equipaggiamento militare. Ad un anno di distanza dall’inizio, la guerra sul campo non ha prodotto risvolti sostanziali tali da poter giungere a dei negoziati per un cessate il fuoco e l’apertura di una fase di trattative per la conclusione di un trattato di pace. In questo anno, inoltre, la Russia ha accompagnato l’impegno sul campo alla riabilitazione della minaccia nucleare per dissuadere l’Occidente dal continuare ad appoggiare l’Ucraina.
Passando dal terreno al livello internazionale, la guerra ha assunto caratteristiche trasformative ed è foriera di nuovi e mutevoli equilibri di potere. Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan nell’estate del 2021 e le tensioni che ne erano scaturite con gli alleati europei, l’Ue e la NATO hanno rafforzato la loro partnership. Due stati membri della Ue, tradizionalmente neutrali, come Svezia e Finlandia, hanno presentato la loro domanda di adesione alla NATO, ribadendo l’importanza della organizzazione nella sicurezza europea.
La Ue, intanto, ha risposto positivamente alla domanda dell’Ucraina di adesione all’organizzazione, rivitalizzando l’allargamento come strumento di stabilizzazione e di cesura rispetto all’influenza di Mosca come era accaduto con il ‘grande’ allargamento ad Est fra il 2004 e il 2008. La guerra e la risposta robusta della Ue, rispetto invece all’invasione russa della Georgia del 2008 e all’annessione della Crimea, hanno causato una profonda frattura nelle relazioni fra Ue e Russia. Il crollo dell’interdipendenza economica e la ristrutturazione dei flussi commerciali che per l’Europa hanno significato guardare di più verso il Nord Africa e per la Russia alla Cina, sono una testimonianza di una tendenza, al momento, irreversibile.
Uno degli esiti della guerra sul piano internazionale è stato perciò una rinnovata e approfondita cooperazione fra la Russia e la Cina che pure non ha appoggiato in maniera manifesta la scelta del Cremlino di invadere l’Ucraina dove, per altro, Pechino coltivava importanti interessi economici ed aveva investito nel settore energetico e agricolo. In considerazione dell’asimmetria di potenza economica (e anche demografica) questa situazione si prospetta particolarmente rischiosa per Mosca.
Dopo vari tentativi diplomatici intessuti dalla Turchia, sono gli Stati Uniti e la Cina che sembrano maggiormente titolati a esercitare una pressione sul Cremlino al fine dell’avvio di qualche forma di negoziato atto a porre fine alle ostilità sul terreno. La duplice azione dei due attori è tuttavia non priva di asperità perché Washington e Pechino continuano ad essere in competizione sul piano economico e per acquisire maggiore influenza sull’area dell’Indo-pacifico.
Una grande questione geopolitica posta dalla guerra riguarda anche la capacità dell’Occidente di vincere la battaglia dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale. Solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato l’invasione e imposto sanzioni alla Russia, mentre nei paesi europei declina il sostegno dei cittadini all’invio di armi in Ucraina che contribuirebbe, a loro avviso, al prolungamento della guerra.
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